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Liberia, un gesuita in prima linea contro l’ebola
16/7/2014
«La situazione qui a Caldwell sta diventando, giorno dopo giorno, sempre più seria. Credo che chiuderemo la nostra clinica per evitare il contagio del nostro staff e di altri pazienti». Nelle parole di Timothy Baghrmwin, gesuita, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Caldwell, un sobborgo di Monrovia, si legge tutta la gravità dell’epidemia di ebola che, da fine marzo, sta colpendo Liberia, Guinea e Sierra Leone. Secondo le statistiche fornite dall’Organizzazione mondiale della sanità dall’inizio dell’epidemia si sarebbero registrati quasi 900 casi di cui 543 mortali. E Medici senza frontiere ha lanciato pochi giorni fa l’allarme chiedendo un impegno internazionale più serrato per evitare il contagio in altre aree del continente africano.

Caldwell è considerato dalle autorità liberiane uno dei luoghi più colpiti dal virus. «Nel nostro quartiere - spiega padre Tim -, il conto dei morti sta aumentando vertiginosamente. Non saprei dare cifre esatte, ma sono a conoscenza di famiglie che hanno perso più di una persona. C’è una famiglia che frequenta la parrocchia che ha perso addirittura cinque membri». Il gesuita ha un contatto diretto con l’Ebola nella clinica parrocchiale che gestisce insieme ad alcuni volontari. «Non possiamo fare molto per contenere l’epidemia - osserva - il virus è difficile da affrontare con i nostri scarsi mezzi e la mortalità è troppo elevata. Al momento ci limitiamo a visitare i pazienti e, quando ci accorgiamo che potrebbero essere stati infettati, li mandiamo negli ospedali pubblici che sono più attrezzati sia nel trattare il virus sia nell’eventuale sepoltura dei corpi: questa deve essere eseguita con accorgimenti particolari per evitare il diffondersi della malattia».

La paura, però, si sta diffondendo in tutto il quartiere. «La persone temono il contagio - conclude padre Tim -, come dar loro torto? Anche noi stiamo pensando di chiudere la clinica. Non vogliamo far correre rischi ai nostri collaboratori e non vogliamo contribuire  a diffondere il virus».
Enrico Casale


© FCSF – Popoli