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Ebola, molto più che un’epidemia
3 novembre 2014
Conosciuto da quarant’anni, il virus continua ad alimentare focolai che mietono migliaia di vittime. A partire da febbraio, una nuova grande epidemia è scoppiata in Guinea, Sierra Leone e Liberia e, oltre a cogliere di sorpresa i sistemi sanitari, ha anche modificato le abitudini sociali e messo in crisi le economie locali. Le testimonianze dal campo raccolte da Popoli e pubblicate sul numero di novembre.


L’Africa occidentale
sembra sprofondata nel Medio Evo. In quei secoli nei quali la peste nera decimava le popolazioni delle città e delle campagne. Al suo posto c’è l’ebola, un virus che è stato scoperto 38 anni fa e che dalle foreste pluviali del Congo si è diffuso, con successivi e imprevisti focolai, fino al Golfo di Guinea (cfr box). Nel febbraio di quest’anno il virus ha colpito la Guinea, nelle settimane successive si è esteso alle vicine Liberia e Sierra Leone. Ed è scattata subito l’emergenza. L’epidemia è ancora in corso e quindi non esistono statistiche definitive, ma secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità, al 15 ottobre erano morte 4.500 persone e si erano registrati almeno novemila casi. Il diffondersi del virus non è solo diventata un’emergenza sanitaria, ma ha avuto un forte impatto economico e sociale.

Pur non essendo una patologia sconosciuta, l’ebola ha preso di sorpresa i fragili sistemi sanitari dell’Africa occidentale. Negli ospedali, nelle cliniche e negli ambulatori, il personale sanitario non è riuscito a riconoscere fin da subito il virus. Quindi molti pazienti infettati sono stati ricoverati nelle normali corsie e hanno contagiato gli altri pazienti e soprattutto il personale sanitario. «Tutto questo - spiega Roberto Scaini, medico italiano, volontario di Medici Senza Frontiere in Liberia - ha portato al tracollo della sanità locale. Questa estate a Monrovia tutti gli ospedali e le cliniche erano chiusi. Per far fronte all’epidemia c’erano solo due centri di isolamento. Troppo poco per una città complessa come la capitale liberiana». Ma questo ha avuto anche un’altra conseguenza nefasta: la carenza di assistenza medica ha causato morti e sofferenze anche tra chi non era stato colpito dall’ebola. Le donne non sapevano più dove andare a partorire, chi aveva una crisi acuta di malaria non sapeva a chi rivolgersi, ecc. Così ai morti di ebola si sono aggiunti quelli di altre malattie che, normalmente, vengono curate. Una tragedia nella tragedia.

A cedere sotto i colpi dell’ebola sono stati anche i rapporti sociali. I malati sono stati isolati dalle loro comunità e, spesso, anche dalle loro famiglie. «L’ignoranza - osserva Scaini - inizialmente ha portato a sottovalutare l’ebola. Ciò ne ha favorito la diffusione. Ma quando la consapevolezza della patologia è aumentata, la gente si è fatta prendere dal panico e ha iniziato a isolare non solo chi ha contratto l’ebola, ma tutti i malati. Lo stigma verso i malati è cresciuto e molti di essi hanno iniziato a nascondersi o a negare l’infezione alimentando ulteriormente l’epidemia».

In Sierra Leone, dove erano molto diffusi gli abbracci e le strette di mano fra amici e parenti, la gente ormai è diventata diffidente. Le persone si salutano senza segni di affetto ed evitano di frequentare posti affollati. Ormai anche la tradizionale cura dei corpi dei morti è sempre meno praticata. È diminuito il traffico pedonale e quello di biciclette e motorini. «Questa diffidenza è positiva - osserva Peter Bayuku Konteh, ministro del Turismo e della Cultura della Sierra Leone, con alle spalle un lungo periodo vissuto in Italia - perché rallenta l’epidemia. Tuttavia, credo lascerà i segni anche nel futuro e ci vorrà tempo perché i rapporti interpersonali tornino quelli di prima. Se mai torneranno quelli di prima».

In questo contesto anche la Chiesa è scesa in campo. Religiosi e religiose si sono impegnati nel settore della formazione cercando di far conoscere alla gente i rischi connessi all’ebola, come si trasmette il virus, come può essere evitato il contagio, ecc. «I leader di tutte le religioni possono giocare un ruolo importante perché possono favorire un giusto approccio alla patologia - spiega Paterne Mombe, direttore di Ajan, l’organizzazione che coordina l’impegno dei gesuiti contro l’Aids e che recentemente si è occupato anche dell’epidemia di ebola -. La Chiesa cattolica, essendo presente con proprie comunità in modo capillare sul territorio, può anche aiutare la popolazione attraverso le proprie strutture sanitarie di base: ambulatori, piccoli ospedali, ecc.».

IL TRACOLLO ECONOMICO
La diffusione del virus
non ha messo a dura prova solo i sistemi sanitari e la struttura sociale dei Paesi colpiti, ma ha anche minato le loro fragili economie. Quelle della Liberia e della Sierra Leone in particolare. Entrambe da poco uscite da guerre civili devastanti, le due nazioni si stavano lentamente riprendendo da distruzioni e spoliazioni. L’ebola ha però affossato il rilancio. «Il virus - ha dichiarato Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale - è soprattutto una catastrofe umanitaria. Ma le conseguenze economiche sono molto ampie e potrebbero produrre i loro effetti anche nel lungo periodo. I dati da noi raccolti mostrano un impatto economico molto grave sui Paesi colpiti. Ora dobbiamo impegnarci tutti insieme per affrontare la crisi economica che ne deriverà». Proprio la Banca Mondiale ha stimato che nel medio termine la Liberia potrebbe subire un calo dell’11,7% del Pil, la Guinea del 2,3% e la Sierra Leone dell’8,9%. L’Africa occidentale rischia, da qui alla fine del 2015, di vedere spazzata via una ricchezza che complessivamente potrebbe ammontare a 25 miliardi di euro.

«Il primo impatto è a livello domestico - osserva padre Mombe -. Per evitare il contagio le famiglie non riescono più a portare avanti le attività che garantiscono loro un’entrata. Mercati e negozi sono stati chiusi. I contadini hanno smesso di coltivare i campi perché il virus si è diffuso soprattutto nelle aree rurali».

Ma è l’intera economia a risentirne. «Gli investitori stranieri - aggiunge Peter Bayuku Konteh - stanno scappando dal Paese, alcune compagnie aeree hanno sospeso i voli da e per la Sierra Leone, altri arrivano vuoti, alcune Ong hanno evacuato il loro personale, gli alberghi sono praticamente vuoti: tutto questo provoca anche il licenziamento del personale perché non c’è lavoro. Potete capire che anche il turismo ha subito un gravissimo colpo». Il rischio è che la Sierra Leone scivoli nuovamente nella spirale della misera. «Per noi - continua Konteh -, l’ebola è una grave calamità che si abbatte proprio nel momento in cui il Paese si stava impegnando al massimo, tanto che negli ultimi due anni stava avendo una crescita di più del 13%».

Una crisi che riguarda ogni settore dell’economia. «Alcune organizzazioni - osserva Timothy Baghrmwin, gesuita, in prima linea contro l’ebola in Sierra Leone - lasciano qui staff di poche persone per tenere aperti gli uffici. Ma fino a quando? Nessuno lo sa. Con la parziale chiusura di porti e aeroporti i prezzi stanno crescendo in modo esponenziale. Si è fortunati se si riesce a trovare qualche bene di prima necessità nei mercati. Il riso, alimento base delle popolazioni locali, ha raggiunto prezzi fuori dalla portata della gente comune. Molte medicine sono sparite dalle farmacie».
Per far fronte al tracollo economico, la Banca Mondiale ha messo a disposizione aiuti per 400 milioni di euro: 230 per l’emergenza, 170 per progetti a medio e lungo termine. Anche l’Unione europea è scesa in campo con uno stanziamento di circa 200 milioni di euro. Gli Stati Uniti, oltre a donare 590 milionid euro, hanno deciso di inviare tremila soldati e centinaia di ingegneri militari, accompagnati da decine di specialisti che si aggiungeranno ai 100 già in zona. Gli Usa, secondo le intenzioni del presidente Barack Obama, costrui­ranno 17 ospedali mobili dove addestrare 500 medici e infermieri a settimana.

«In Occidente - conclude Scaini - si è diffuso molto allarmismo e si è speculato su possibili farmaci e vaccini. Ma per i farmaci e per i vaccini ci vorrà tempo. Intanto, se non si mettono in campo strategie mirate che permettano di aumentare i centri di isolamento e di fare campagne informative e preventive di base, l’epidemia si espanderà ulteriormente. Se questo accadrà, i sistemi sanitari collasseranno e con essi i sistemi economici. In una spirale che porterà a un aumento della miseria e delle malattie». Uno scenario tremendo che ci riporta indietro di secoli, a epidemie che credevamo non potessero più ripresentarsi.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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