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Messico, addio a Ruiz, pastore e profeta
27 gennaio 2011
Gli indigeni sono arrivati a San Cristóbal de las Casas a migliaia, anche dai dipartimenti più sperduti del Chiapas, percorrendo quelle stesse strade, ancora oggi sconnesse e polverose, che il loro vescovo aveva solcato spesso durante i suoi 40 anni di episcopato. Tzeltal, Tzotzil, Tojolabal, Ch’ol e tutte le altre etnie della regione più povera del Messico, al confine con il Guatemala, non potevano mancare all’ultimo appuntamento con Samuel Ruiz García, o più semplicemente jTatic («padre»), morto il 24 gennaio all’età di 86 anni.

«Non si è mai vista una simile dimostrazione di affetto alla morte di un vescovo, almeno dai tempi di Sergio Mendez Arceo, vescovo di Cuernavaca», riferisce a Popoli.info il gesuita Alfredo Zepeda, impegnato nella pastorale indigena e profondo conoscitore del vescovo, commentando i funerali che si sono svolti mercoledì 26. L’omelia è stata affidata a mons. Raúl Vera, vescovo di Saltillo e per anni stretto collaboratore di Ruiz (clicca qui per leggere il testo integrale, in spagnolo). Commentando le letture, Vera ha sottolineato la somiglianza tra «don Samuel e il profeta Geremia, un uomo che visse e sperimentò la contraddizione. Una persona le cui azioni erano discusse e condannate da una parte della società, ma per i poveri e per coloro che hanno lavorato con lui, don Samuel è stato una luce potente».

E gli omaggi alla memoria del vescovo si diffondono in queste ore anche attraverso internet. Il sito de La Jornada, il principale quotidiano messicano progressista, è stato invaso da decine di messaggi di affetto e riconoscenza: in molti casi a scrivere sono cattolici affascinati dalla figura del vescovo, ma non mancano non credenti che si riconoscono nelle sue battaglie per la giustizia sociale. Questa capacità di mons. Ruiz di farsi ascoltare anche al di fuori del mondo ecclesiale e di svolgere un ruolo di mediatore ha avuto del resto una prova evidente nell’attività che egli ha svolto dopo l’insurrezione zapatista scoppiata in Chiapas il 1° gennaio 1994: pur non legittimando mai l’uso delle armi, don Samuel (un altro modo in cui era familiarmente chiamato) ha lavorato presso le istituzioni perché fossero comprese e affrontate le ragioni di fondo della sollevazione, legate alle inaccettabili condizioni di emarginazione e sfruttamento in cui per secoli hanno vissuto gli indigeni del Chiapas. Non a caso, ci racconta ancora padre Zepeda, «in queste ore la Radio zapatista sta chiedendo a tutti i suoi contatti di inviare materiali audio relativi a Samuel Ruiz, affinché possano essere messi in onda in una trasmissione speciale il 6 febbraio».

Nato nel 1924, dopo l’ordinazione sacerdotale Samuel Ruiz studiò alla Pontificia Università Gregoriana e, a 35 anni, quando Giovanni XXIII gli affidò la diocesi di San Cristobál de las Casas, divenne il più giovane vescovo del Messico. Fino a quel momento di orientamento conservatore, l’incontro con la povertà e l’apartheid (economico, sociale ed ecclesiale) che subivano gli indios del Chiapas produssero in lui una sorta di «conversione» all’opzione preferenziale per i poveri, di cui fu promotore anche al Concilio Vaticano II. «Era arrivato per convertire gli indigeni alla dottrina cristiana - racconta ancora padre Zepeda - e fu convertito da loro al Vangelo. Da missionario si convertì in discepolo».

La sua vicinanza alla teologia della liberazione non gli procurò certo simpatie in Vaticano, così come il boom di diaconi permanenti (soprattutto indigeni) nella sua diocesi, una scelta che secondo i critici introduceva una sorta di sacerdozio di fatto esercitato da uomini sposati, ma Giovanni Paolo II non lo rimosse dalla diocesi. In un’intervista concessa a Popoli nel 2000 (clicca qui per leggerla), Ruiz rivelò inoltre che l’allora cardinal Ratzinger, molto critico verso la «teologia india», disse in un colloquio di «avere compreso cose che non avevo capito».

Vincitore di numerosi premi e riconoscimenti per il suo lavoro a favore dei diritti umani, candidato al Nobel per la pace, più volte oggetto di minacce e attentati, nel 2000, raggiunto il limite dei 75 anni di età, lasciò l’incarico trasferendosi a Queretaro per rispettare il lavoro pastorale del suo successore, mons. Felipe Arizmendi.

© FCSF – Popoli