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Milano, l'Ambrogino è anche eritreo
14 novembre 2012
Il Comune di Milano ha presentato oggi la lista delle personalità che il 7 dicembre (Sant’Ambrogio, patrono della città) riceveranno l’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza cittadina. Sono 63 i nomi dei premiati: due medaglie d’oro alla memoria (Silvano Cavatorta, autore e critico cinematografico, e Nicolò Savarino, vigile urbano ucciso in servizio), 28 medaglie d’oro e 33 attestati di civica benemerenza.

Una della medaglie d’oro è stata assegnata a Hailé Teklemariam, un padre cappuccino che da anni lavora a fianco degli immigrati. Padre Marino, come tutti lo chiamano, è nato a Segeneiti, una località a una sessantina di chilometri da Asmara, la capitale dell’Eritrea. Entrato nel 1959 nel noviziato dei padri cappuccini, nel 1968 è stato ordinato sacerdote. Nel 1979 i suoi superiori decidono di mandarlo a Milano per curare l’assistenza pastorale della comunità cattolica etiope ed eritrea. «Allora – racconta padre Marino a Popoli.info -, l’Eritrea non era ancora indipendente e faceva parte dell’Etiopia. Quando arrivai a Milano ero l’unico religioso eritreo. Allora, a differenza di oggi, le comunità copto ortodosse e protestanti non avevano propri cappellani. Quindi tutti facevano riferimento a me».

Ben presto padre Marino si ritrova a lavorare non solo in campo pastorale, ma anche in quello sociale. «Gli etiopi e gli eritrei che arrivavano in Italia - osserva - erano spaesati. Molti non conoscevano la lingua, non conoscevano le procedure burocratiche, non avevano un alloggio né un lavoro. Noi li aiutavamo con le pratiche in Questura, cercavamo loro una casa e, spesso, riuscivamo anche a trovare un’occupazione. Li aiutavamo anche a inserire i bambini a scuola e, addirittura, organizzavamo la colonia per i più piccoli».

Il cappuccino eritreo è diventato così ben presto un punto di riferimento per tutta la comunità. E, anche oggi dopo l’arrivo dei cappellani ortodossi e protestanti, rimane una personalità riconosciuta e rispettata sia dagli eritrei sia dagli etiopi. E la cascina di via Cislaghi, dove vive insieme ad altri cinque confratelli, è tutt’ora un centro al quale si rivolgono persone bisognose. Qui vengono distribuiti viveri, vestiario, ma è anche un centro di ascolto e di preghiera. Padre Marino, nonostante qualche acciacco, è sempre in prima fila nell’aiutare i suoi conterranei. «Mi rende triste pensare alla miseria in cui è sprofondato il popolo eritreo - conclude -. Migliaia di ragazzi sono costretti a fuggire dalle violenze che subiscono nel loro Paese e arrivano qui dopo aver percorso migliaia di chilometri e aver affrontato mille pericoli. È una tragedia assurda, che si sta consumando nel silenzio quasi totale dei media».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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