Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
Mindanao, le Filippine senza pace
26 settembre 2013

Il 25 settembre le autorità filippine hanno annunciato la liberazione degli ultimi nove ostaggi, insegnanti nelle scuole di alcuni villaggi nella zona di Zamboanga, ma focolai di rivolta sono esplosi nella provincia di Cotabato, nel centro di Mindanao, costringendo alla fuga 12mila persone.

L’ultima grave crisi nel Sud delle Filippine è iniziata il 9 settembre, quando ribelli dell’Mnlf (Fronte di liberazione nazionale moro ) hanno preso d’assalto la città di Zamboanga dal porto, proclamando l’indipendenza della regione. Gli uomini armati hanno usato centinaia di civili come scudi umani durante gli scontri a fuoco con l’esercito. Nel giorni dell’assedio le forze di sicurezza del governo di Manila hanno risposto duramente e si sono registrate, secondo Human Rights Watch, gravi violazioni dei diritti umani anche da parte di esercito e polizia. Oltre centomila persone sono fuggite dalla città e dai villaggi vicini. Le vittime in tutto sono state circa 150, la più grave strage dopo gli accordi dell’ottobre 2012. Ma a Mindanao rapimenti, atti di banditismo e violenze quotidiane non sono mai cessati negli ultimi mesi.

L’Mnlf  è un movimento islamico che dagli anni Settanta combatte contro il governo filippino per l’indipendenza di una parte di Mindanao. Il gruppo aveva siglato un accordo di pace nel 1996, poi respinto perché Manila non avrebbe mantenuto le promesse di sviluppo della regione. L’Mnlf si è poi opposto agli accordi firmati l’anno scorso dal Milf (il Fronte di liberazione islamico moro) che, invece, ha cercato di avviare un percorso per l’autonomia della regione, da secoli islamizzata, a differenza del resto del Paese a maggioranza cattolica.

L’identità musulmana di una parte di Mindanao e le tensioni socio-economiche sorte in decenni di integrazione con le Filippine hanno fatto nascere movimenti ribelli che, a più riprese, hanno preso in mano le armi per ottenere l’indipendenza di un territorio del popolo moro, che unisca parte di Mindanao e parte del Borneo malese. Dagli anni Sessanta una serie di accordi si sono succeduti tra Manila e le varie milizie islamiche, ma nessuno ha portato a risultati definitivi. A complicare la frammentazione dei movimenti ribelli ci sono anche legami di alcuni di essi con l’estremismo radicale di matrice qaedista oltre a complessi intrecci economici e identitari che caratterizzano Mindanao.

Albert Alejo è un gesuita antropologo dell’Ateneo di Zamboanga, impegnato da tempo nel processo di pace. Illustrando le radici del conflitto, spiega a Popoli.info che, storicamente, gli spagnoli arrivati nelle Filippine nel Cinquecento, trovarono formazioni statali già presenti nel Sud tra la popolazione islamizzate di Mindanao. «Questi sultanati musulmani non furono realmente inclusi nel processo di colonizzazione del resto delle Filippine - aggiunge -. E quando, alla fine dell’Ottocento, gli spagnoli persero la colonia filippina a favore degli Usa, gli americani cercarono in ogni modo di completare il progetto coloniale per controllare la regione. Offrirono ai leader locali posizioni di governo, diffusero l’istruzione pubblica e l’uso dell’inglese in tutto l’arcipelago. Affrontarono la questione della proprietà, sequestrando terre e riassegnandole. Crearono nuovi insediamenti, favorendo ondate migratorie verso quella che chiamavano “la terra promessa”».

Dopo l’indipendenza nel 1946, i problemi della terra si fecero acuti nel Nord e il nuovo governo, temendo anche la forza del movimento comunista, cercò di allentare la tensione nella regione della capitale, concedendo ampi segmenti di terra di Mindanao a coloni del Nord che progressivamente resero gli abitanti originari dell’isola una minoranza. «La perdita di questa terra - spiega padre Alejo -, non solo come risorsa economica, ma anche come segno di identità, è stata a lungo causa di malcontento sia tra i musulmani sia tra le comunità indigene».

L’accordo del 2012 aveva acceso speranze. Era visto come un passo importante, anche se incompleto, per ristabilire pace e giustizia a Mindanao, gettando le basi per risolvere alcuni problemi. Innanzitutto riconosceva le ingiustizie passate subite dal popolo moro, anche se non prevedeva che le terre espropriate in passato venissero automaticamente riacquisite. «Si sapeva - continua padre Alejo - che l’opposizione del Mnlf, guidato da Nur Misuari, avrebbe costituito un ostacolo al processo di pace e lo scontento serpeggiava anche tra popolazioni indigene, i lumad, che sono cristiani, ma che considerano il governo troppo accondiscendente verso i moro».

L’obiettivo principale degli accordi di pace era e resta quello di creare un territorio autonomo entro il 2016, Bangsamoro, in cambio della rinuncia alla lotta armata per l’indipendenza. Secondo padre Alejo, elemento centrale è il riconoscimento dell’identità di un popolo, e di conseguenza dell’autogoverno della regione, con la possibile introduzione della shari’a. «Ma questo aspetto andrà valutato con cura - aggiunge - perché nel territorio vivono anche non musulmani e non tutti i musulmani intendono allo stesso modo il diritto islamico».

In questi anni Mindanao ha visto anche la partecipazione attiva dei leader religiosi ai processi di pace. La Conferenza dei vescovi e degli ulema – che dal 1996 riunisce alcuni vescovi cattolici, leader musulmani e pastori protestanti, oltre a capi tribali come osservatori - è impegnata nel dialogo interreligioso e nel creare un clima di concordia per pacificare l’isola. Le consultazioni tra le popolazioni promosse dalla Conferenza (KonsultMindanaw) a partire dal 2009 hanno mostrato che non bastano soluzioni politiche: «È importante includere la spiritualità nella ricerca della pace - spiega padre Alejo -. E tutti i leader religiosi devono avere un ruolo più attivo, con o senza il sostegno economico del governo».

Intanto le operazioni militari a Zamboanga per liberare gli ostaggi e arrestare le fazioni ribelli sono state molto dure. Il presidente Aquino, visitando la città, ha parlato di riapertura del dialogo, con la possibilità di incontrare l’Mnlf in Indonesia, ricorrendo alla mediazione della Croce rossa internazionale. Ma dopo la crisi, con i morti, gli sfollati e le distruzioni che ha provocato, la strada della pace a Mindanao è ancora molto lunga.

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli