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Mine antiuomo, si muore ancora (ma meno)
3 dicembre 2013
Sul fronte dell’utilizzo delle mine antiuomo e delle cluster bomb ci sono due notizie: una cattiva e l’altra buona. Quella cattiva è che, nel 2012, 3.628 persone sono morte a causa di un ordigno non esploso. Quella buona è che dal 1999 il numero delle vittime è più che dimezzato. I dati sono stati forniti dalla Campagna internazionale contro le mine nel meeting che si è tenuto nel fine settimana a Ginevra (Svizzera). «Il calo è certamente un elemento positivo - spiega Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine -, ma di fronte a queste statistiche occorre essere prudenti. I dati vengono raccolti in modo serio e preciso, ma ci sono luoghi in cui il personale sanitario non può arrivare e nei quali quindi non vengono conteggiate le vittime. Direi quindi che, purtroppo, si tratta di stime per difetto».

A ciò va aggiunto anche il fatto che esistono molti fronti sui quali sia le mine antiuomo sia le bombe cluster sono ancora ampiamente utilizzate. Ciò significa che nei prossimi anni i resoconti torneranno a parlare di nuove vittime. Vittime che, secondo la Campagna internazionale contro le mine, saranno in maggioranza (78%) civili. «Pensiamo alla Siria, alla Cecenia e all’Afghanistan - continua Schiavello -, in questi scenari di guerra gli eserciti e le milizie fanno largo uso di questi ordigni e la gente continua a morire. Le mine e le cluster vengono seminate in modo terroristico per uccidere, ma soprattutto menomare, la popolazione. Un bambino mutilato sarà un adulto che non è in grado di lavorare o che lavorerà meno di un adulto sano. E ciò impoverirà tutta la comunità di appartenenza».

Se la convenzione contro le mine antiuomo (1997) e quelle contro le cluster bomb (2010) non hanno arrestato l’utilizzo, non significa che non abbiano prodotto effetti. «Grazie alle due convenzioni - è ancora Schiavello che parla - di fatto la produzione di questi ordigni si è arrestata e anche il commercio. È vero ancora 36 nazioni non hanno firmato o ratificato i trattati. Ma in questi Paesi, anche grazie alle convenzioni, si è diffusa l’idea che l’utilizzo delle mine e delle cluster è qualcosa di negativo, da stigmatizzare. Non è un caso che Stati Uniti e Cina, che non sono firmatari, abbiano comunque versato molti fondi per la bonifica umanitaria».

Ma quali sono i prossimi obiettivi della Campagna internazionale? «C’è ancora molto da fare - conclude Schiavello -. Noi lavoriamo affinché gli Stati continuino a finanziare i progetti di inclusione sociale delle vittime e di bonifica umanitaria. Bisogna intervenire anche sul fronte del soccorso di emergenza. Purtroppo il 54% delle vittime muore prima che arrivino gli aiuti».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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