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Pakistan: storie di ricostruzione
11 novembre 2010
In Pakistan le inondazioni tra luglio e agosto hanno sconvolto la vita di 20 milioni di persone nella valle dell’Indo. Da nord a sud del Paese, i territori vicini al grande fiume sono stati sommersi dalle acque. Le vittime sono state quasi duemila e si stima che i danni a coltivazioni, abitazioni e infrastrutture siano almeno di 40 miliardi di dollari.
Anche i gesuiti, presenti a Lahore, sono stati impegnati insieme ad altre congregazioni religiose nelle azioni di soccorso e, oggi, nel lungo lavoro di ricostruzione. Nel Punjab meridionale e nel Sindh hanno tre progetti di assistenza agli alluvionati, per ricostruire case e recuperare i terreni.
Come riferisce padre Renato Zecchin, il primo progetto è a Kot Aadu, distretto di Muzaffargarh, dove un metro e mezzo di acqua ha sommerso le case. «A differenza del resto del Punjab - spiega il gesuita - in questa zona vive la popolazione dei seraiki. Anche se c’è qualche cristiano, l’area è abitata soprattutto da musulmani piuttosto conservatori. Cerchiamo perciò di offrire case tenendo conto della purdah, cioè garantendo le condizione perché le donne abbiano spazi protetti dalla vista di uomini estranei». Il budget disponibile è di 4.100 dollari Usa per ognuna delle 65 case in progetto, ma il numero potrebbe aumentare, anche se al momento c’è carenza di mattoni perché diversi forni nella zona sono stati danneggiati dalle acque e il trasporto costa perché è cresciuto ovunque il prezzo dei carburanti.
Gli altri due progetti si trovano nel Sindh, un’altra zona colpita pesantemente. Il Sindh è una provincia meridionale poco popolata e molto povera a causa del clima e del terreno inospitale. Nel capoluogo, Hyderabad, si trova l’ospedale St Elizabeth, diretto da un missionario australiano, padre Robert McColluch. «Con lui e l’équipe medica di assistenza - racconta padre Renato - ho visitato due aree dove cerchiamo di rispondere ai bisogni di comunità le cui abitazioni di fango sono andate distrutte. A una diamo materiali edili e anche un terreno acquistato per loro. Prima abitavano sulle terre del latifondista. Anche la seconda comunità, che avuto le case distrutte e per cui stiamo definendo luogo e modalità di ricostruzione. Entrambe avranno impianti fognari e una anche un impianto di illuminazione a energia solare».
Nel Sindh il secondo progetto coinvolge le missionarie di san Colombano, che lavorano con alcune popolazioni tribali sfollate dalla zona di Sukkur e finite nelle tendopoli alla periferia di Hyderabad. Le suore cercano di avviare un’attività per le donne che consenta qualche guadagno. «Gli anziani – conclude il gesuita - hanno chiesto un terreno per la loro tribù e abbiamo offerto il nostro aiuto per acquistare la terra».

Per donazioni: www.magisitalia.org

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