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Patrimonio archeologico, il volto nascosto dell'Afghanistan
3 dicembre 2012
L’Afghanistan è un Paese dallo straordinario patrimonio artistico e archeologico e finalmente negli ultimi anni è cresciuto l’interesse per il recupero e la tutela delle sue grandi ricchezze. I Buddha di Bamiyan che si sgretolano sotto i colpi dei carri armati nel 2001 sono impressi nella memoria collettiva, nonostante il tentativo del regime dei talebani di annientarne persino il ricordo. Oggi in quella valle dichiarata patrimonio dell’umanità si lavora per la conservazione delle nicchie che ospitavano i due giganti, ed è grazie ai nuovi progetti di recupero che stanno interessando esperti locali e internazionali, che è stato scoperto un sito inesplorato, con i resti di un terzo Buddha. Nel distretto occidentale di Sharhak, vicino al fiume Hari Rud, in una vallata fra le montagne spicca il minareto di Jam, 65 metri d’altezza, realizzato con mattoni cotti in fornace e fittamente decorato con stucchi e tegole smaltate, che alternano disegni geometrici a versetti del Corano. Entrato nel 2002 nella lista dell’Unesco, solo tre anni dopo comincia a essere sottoposto a un’imponente opera di restauro, perché a rischio erosione e crollo a causa delle frequenti inondazioni e scosse sismiche. Oggi il pericolo sembra scongiurato, grazie anche a un progetto che ha coinvolto l’Italia, e l’architetto Andrea Bruno, appassionato di Afghanistan sin dagli anni Sessanta. «Decenni di guerra - racconta - hanno lasciato una pesante eredità, sebbene alcune preziose testimonianze della ricchezza e varietà culturale di questo Paese siano sopravvissute. Questa memoria condivisa dovrà servire a coagulare l’identità nazionale». Bruno si è occupato anche del progetto di fortificazione delle pareti delle nicchie di Bamiyan e dei monumenti più belli di Herat: la cittadella fortificata, che sorge al centro della città vecchia ed è realizzata interamente in terra cruda, materiale povero ed estremamente delicato, nonché il complesso di Gawhar Shad Musalla, formato dal mausoleo che la regina Gawar Shad nel XV secolo fece costruire per accogliere le spoglie del marito, lo shah Rukh Mirza, la madrasa e i cinque minareti che oggi si cerca di sottrarre al costante pericolo di crollo.
© FCSF – Popoli
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