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Sinai, non solo ricatti…
10 dicembre 2010
La polizia egiziana sta organizzando la liberazione dei 300 profughi eritrei, somali, sudanesi sequestrati da quasi un mese nel Sinai. Gli agenti hanno preso contatto con i capi delle principali tribù della penisola affinché medino il rilascio dei profughi. Intanto polizia ed esercito egiziani hanno rafforzato i controlli all’ingresso del tunnel El Shahid Ahmed Hamdi, che passa sotto il canale di Suez e approda al Sinai, per evitare che i trafficanti di uomini possano fuggire.

La vicenda dei 250 profughi è stata portata alla ribalta grazie alle ripetute denunce di don Mussie Zerai, un sacerdote eritreo che da anni vive in Italia. Don Mussie, in contatto con i profughi grazie ai telefoni cellulari che i trafficanti lasciano loro per chiedere i soldi alle famiglie, ha aperto uno squarcio su una realtà drammatica. Molti eritrei, etiopi, sudanesi, somali non potendo più emigrare in Europa attraverso le rotte classiche (tutte chiuse per effetto di intese tra i Paesi europei e quelli nordafricani) si dirigono sempre più spesso verso l’Egitto e poi verso Israele. Nel loro viaggio della speranza si affidano (a pagamento) ai trafficanti di uomini egiziani.

Questi, molto spesso, accompagnano i profughi fino a metà del cammino verso Israele e poi chiedono, dietro la minaccia di morte, ulteriori somme di denaro. A chi non può pagare viene «offerta» la possibilità di donare un organo, che viene espiantato e rivenduto in Egitto o in Israele. Molti profughi però muoiono durante l’espianto oppure vengo uccisi prima dell’operazione. «Nel Sinai – spiega Roberto Malini del Gruppo EveryOne, una Ong che sta seguendo insieme a don Mussie la vicenda –, i trafficanti hanno organizzato una rete forte e strutturata. Leggendo i giornali locali si scopre che lo scorso anno sono spariti nel nulla centinaia di migranti. Probabilmente uccisi per espiantare loro gli organi».

I 300 profughi sono ancora insieme in un luogo indefinito del Sinai, ma temono che i trafficanti li dividano in piccoli gruppi per evitare colpi di mano da parte delle forze di sicurezza egiziane. «Ho potuto parlare con i profughi eritrei - spiega don Mussie -, mi hanno detto che probabilmente li divideranno e li sposteranno altrove. Il rischio è che vengano venduti ad altri trafficanti della zona. Le persone, che sono tenute in catene, sono stremate da questa situazione e chiedono un intervento immediato delle autorità egiziane. Riferiscono anche che è stato loro impedito di pregare. I trafficanti hanno strappato alcune bibbie e libri di preghiera e li hanno picchiati».

Talvolta però anche la liberazione si trasforma in una beffa per i profughi. 63 africani rilasciati dai trafficanti l’8 dicembre nei pressi di Suez City, sono stati arrestati ieri dalla polizia egiziana con l’accusa di immigrazione clandestina mentre tentavano di raggiungere Israele. «Dopo il dolore che hanno vissuto nelle mani dei trafficanti – conclude Mussie –, invece di trovare protezione e accoglienza (che l’Egitto dovrebbe accordare loro in quanto firmatario della Convenzione di Ginevra del 1951), sono stati sbattuti in prigione come criminali. È necessario che l’Unione europea faccia pressioni sull’Egitto affinché siano applicate le norme sul diritto d’asilo».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli