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Siria: «La maggioranza è ancora con Assad»
27 aprile 2011

A oltre un mese dall’inizio delle proteste, in Siria la risposta del regime si fa sanguinosa. Alcune fonti parlano di oltre 400 persone uccise finora da forze di sicurezza e cecchini. Il centro principale della protesta è la città meridionale di Daraa, ma continuano gli arresti nel resto del Paese e ci si domanda dove stia dirigendosi il Paese, dopo che il 30 marzo il presidente Bashar al-Assad aveva parlato di riforme democratiche e di risposta all’emergenza sociale. Popoli.info ne ha parlato con Paolo Dall'Oglio, gesuita, che vive in Siria.
«Sono sorpreso dall’accelerare del movimento - spiega al telefono Paolo Dall’Oglio, che dal monastero di Deir Mar Musa, ad alcune decine di chilometri da Damasco, segue con gli altri monaci i fatti sanguinosi di questi giorni e che nella sua rubrica mensile su Popoli ha scritto di una Siria al bivio -. La nostra comunità al-Khalil ha scritto una lettera, in questa Pasqua segnata dalle violenze. Se la situazione scappa completamente di mano si arriva alla fine dell’unità nazionale, alla guerra civile. Emergerebbero i riflessi confessionali della maggior parte della popolazione. Da una parte, la comunità internazionale non può permettersi di correre rischi in questo Paese cruciale per la sua posizione geografica e per gli equilibri con gli Stati confinanti (Iraq, Libano, Israele). Ma anche all’interno molti non vogliono questo sviluppo, la maggioranza non vuole la guerra civile. Per questo il regime sa di non essere solo contro tutti e di poter portare ancora in piazza milioni di sostenitori». Questa consapevolezza spinge le forze governative a schiacciare i focolai di rivolta e isolare le zone più calde, allontanando i giornalisti stranieri.
«Tanti come noi hanno riposto molte speranze nella volontà riformista dello Stato - aggiunge padre Dall’Oglio -. Si spera ancora che il presidente si metta alla testa di un processo di riforma. Il capitolo definitivo non è ancora scritto».
La partita si gioca sul crinale di questa ambiguità: l’idea che il presidente al-Assad sia ancora in grado di guidare un processo di trasformazione che tenga unite le diverse componenti, mentre le stragi di questi giorni siano il risultato di un meccanismo repressivo sfuggito di mano. Anche le proposte di sanzioni che si stanno facendo all’Onu mirano a colpire alcuni settori del regime più di altri, nella speranza di condizionare il processo di riforme e arrestare i bagni di sangue.

Francesco Pistocchini
© FCSF – Popoli
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