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Sud Sudan, indipendenza senza pace
19 luglio 2011
È trascorso solo un anno dall’euforia per la nascita del Sud Sudan e il pessimismo sta sostituendo l’ottimismo. L’indipendenza non ha portato (ancora) al benessere e neppure alla pace invocate in quel 9 luglio 2011, data di nascita del 54° Stato africano. Anzi, se possibile, le condizioni di vita già precarie dei sudsudanesi sono peggiorate. Oggi il Sud Sudan è un Paese nel quale il 60% degli uomini e l’84% delle donne sono analfabeti, ogni mille parti muoiono 72 neonati, ci sono solo 300 km di strade asfaltate in un territorio grande quanto la Francia. I livelli di corruzione dei politici e degli amministratori pubblici è elevatissimo. Secondo il rapporto 2011 di Transparency International, Juba è al 177° posto (su 182 nazioni) nella classifica della corruzione percepita. Eppure, potenzialmente, il Sud Sudan è un Paese con enormi potenzialità. Perché non vengono sfruttate? Per scoprirlo è forse utile tornare al giorno dell’indipendenza.

La separazione dal Sudan è avvenuta a seguito di un referendum di autodeterminazione che si è tenuto nel febbraio 2011 e che era previsto dagli accordi del 2005 che avevano messo fine alla guerra civile iniziata nel 1956. I sei mesi trascorsi dal referendum e la proclamazione dell’indipendenza non sono però serviti a risolvere il contenzioso su alcune importanti questioni, ponendo così i presupposti per ulteriori tensioni e scontri tra Karthoum e Juba. Il nodo principale è legato alla spartizione delle risorse petrolifere. Nei protocolli siglati nel 2005 non sono stati quantificati i diritti del passaggio del petrolio sudsudanese in territorio sudanese (i principali pozzi sono al Sud, ma gli oleodotti e il terminal marittimo si trovano al Nord), ma soprattutto non è stato definito lo status di tre aree di confine ricche di giacimenti petroliferi: Abyei, Kordofan meridionale e Nilo azzurro.

E infatti, già nel gennaio di quest’anno il Sud Sudan ha deciso di fermare la produzione petrolifera accusando Karthoum di essersi appropriata illegalmente di petrolio sudsudanese con la scusa di autorimborsarsi del pagamento dei diritti di transito (che il Sudan aveva fissato arbitrariamente in 32 dollari a barile quando il prezzo di mercato è di 7). Questa prima crisi tra i due Paesi ha innescato un grave dissesto finanziario per le casse di Juba che, mancando degli introiti da idrocarburi, ha visto crollare le sue entrate statali del 98%. Una doccia fredda per uno Stato povero che deve costruire da zero le istituzioni e le infrastrutture.

Alla crisi di gennaio ne è seguita una ad aprile. Le accuse di Karthoum al governo di Juba di sostenere l’opposizione armata sudanese hanno portato a sconfinamenti e a bombardamenti delle forze regolari sudanesi. I sudsudanesi hanno reagito prendendo il controllo dei campi petroliferi di Heglig e dando vita a feroci scontri con l’esercito del Nord. A sua volta il governo del Nord ha bloccato le vie commerciali attraverso le quali il Sud (Paese che non ha sbocchi al mare) si rifornisce di beni di prima necessità. Ciò ha creato una drammatica emergenza alimentare in tutto il Sud Sudan.

Le tensioni si sono stemperate solo in occasione del summit dell’Unione africana che si è tenuto lo scorso fine settimana. Salva Kiir, il presidente del Sud Sudan, e Omar al-Bashir, presidente del Sudan, si sono incontrati e si sono parlati per la prima volta dopo la crisi di aprile. Un prima passo verso una soluzione del conflitto?
Enrico Casale


La mappa è tratta dal sito www.cartografareilpresente.org
© FCSF – Popoli
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