«Un conto sono le città, dove ormai la connessione è veloce. Un conto
sono le zone rurali, dove non esistono infrastrutture e collegarsi è
davvero un’impresa». Così Girolamo Botter, presidente di
«Informatici senza Frontiere»,
una Ong italiana nata nel 2005 che ha l’obiettivo di utilizzare le
conoscenze e gli strumenti informatici per portare un aiuto a chi vive
situazioni di emarginazione, descrive la situazione di Internet in
Africa. «In molte delle principali città - continua - ormai è diffusa la
banda larga. Quindi i tempi di connessione e i costi si sono
notevolmente ridotti. Per quanto riguarda le zone rurali la situazione
si complica. Qui la banda larga è un sogno. Le uniche due alternative
sono gli impianti satellitari, che però hanno un costo elevato, e i
telefoni cellulari, ma il collegamento è precario».
Per l’Africa, anche in questo caso si deve parlare di un bilancio in rosso?Più
che di un bilancio in rosso, parlerei di chiari e scuri. Se la
situazione nelle zone rurali è difficile, nelle città ci sono ormai
punte di eccellenza. Penso a Nairobi che, proprio grazie alla
connessione veloce garantita dalla banda larga, si sta proponendo, con
sempre maggiore successo, come centro di servizi informatici per il
mondo anglosassone facendo concorrenza all’India (finora leader del
settore).
«Informatici senza frontiere» ha progetti in Africa? Dove? E di quale tipo?Come
Ong abbiamo diversi progetti in alcuni Stati africani. Fondamentalmente
i nostri interventi si concentrano in due tipologie di attività: la
creazione di sale di informatica e la diffusione di un software per
gestire piccoli ospedali.
In che cosa consiste il progetto delle sale informatiche?Noi
allestiamo sale con alcuni computer. Sono i personal computer che le
aziende europee dismettono dopo soli tre anni di vita. Li prendiamo, li
puliamo, risistemiamo l’hardware e installiamo software opensource:
sistemi operativi Linux e il pacchetto OpenOffice. Ma non siamo fanatici
dell’opensource. Se gli utenti ci chiedono software a pagamento, noi
glielo installiamo. Li aiutiamo anche a creare le connessioni necessarie
per collegarsi al Web. Ma non ci limitiamo ad allestire sale, facciamo
anche corsi di alfabetizzazione informatica per colmare il digital
divide ancora così diffuso in Africa.
In che cosa consiste il vostro software per gestire gli ospedali?Si
chiama Openhospital, è un software opensource che abbiamo sviluppato
cinque anni fa in un piccolo ospedale vicino a Gulu (Uganda) gestito da
un medico italiano. Permette di informatizzare la gestione di piccoli
centri medici come quelli che lavorano nelle zone rurali africane. Il
programma funziona così bene che molti ospedali ci hanno chiesto di
poterlo utilizzare. Così oggi è installato sui Pc di una decina di
centri in Kenya, Tanzania, Benin e Congo. E in altri cinque verrà
installato a breve. I direttori sanitari ci hanno chiesto anche di
formare la persone che utilizzeranno questo software, così abbiamo anche
organizzato alcuni corsi.
Enrico Casale