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Una "transizione ecologica" per la Ue
16/05/2014

Gesuita ed economista, Gaël Giraud è direttore di ricerca presso il Cnrs (Centre national de la recherche scientifique) di Parigi e insegna alla Sorbona. È autore del volume Illusion financière (2013), una critica al sistema economico e finanziario e al ruolo delle banche.

Perché la finanza, come la conosciamo, è alla base della crisi nell’Unione europea?
Gli Stati non sono gli attori più indebitati della Ue. Il loro debito pubblico (in media, circa il 90% del Pil) è molto inferiore a quello delle istituzioni finanziarie, in particolare delle banche (circa il 150% del Pil). Dunque, sarebbe ragionevole obbligare innanzitutto le banche a ridurre il loro debito. I motivi per cui il debito pubblico è diventato, a torto, la principale causa di preoccupazione in Europa sono due: la prima è perché è aumentato considerevolmente con la crisi finanziaria dei subprime (2007-2009).

In secondo luogo, Maastricht obbliga tutti i Paesi dell’euro a finanziare il proprio debito sui mercati finanziari. È una spada di Damocle sulla testa degli Stati stessi, perché sono i mercati che decidono gli orientamenti politici di fondo di un Paese e non più i suoi elettori. Un tale rifiuto della democrazia è stato possibile grazie alla tragica illusione secondo cui i mercati finanziari sono onniscienti ed efficienti e sono così diventati il «vitello d’oro» dell’Europa. E fa bene Papa Francesco a denunciare questa idolatria.

L’Europa nata dal Trattato di Lisbona del 2007, invece di diventare un protagonista della globalizzazione, rischia di esserne vittima?
Purtroppo sì. Perché l’Europa è un gigante economico e un nano politico, come era ai tempi la Germania Ovest, che per molti aspetti è servita da modello per la costruzione di questa Europa. La partnership transatlantica che la Ue sta negoziando in segreto con il Nord America è una vera catastrofe, un suicidio collettivo. Infatti questo Trattato prevede una parte destinata a «difendere gli interessi degli investitori». Se firmiamo, autorizzeremo qualsiasi impresa europea o nordamericana che abbia investito in Italia a portare in giudizio il vostro Paese se questo decide di approvare una legge sfavorevole agli interessi dell’impresa, come ad esempio, un aumento del salario minimo. In tal caso, un tribunale ad hoc potrà giudicare l’Italia solo sulla base del diritto iscritto nel Trattato transatlantico e del diritto commerciale internazionale. La Costituzione italiana non sarebbe presa in considerazione. Un simile trattato di libero scambio rappresenterebbe la fine della sovranità politica in Europa. Il presidente Hollande lo sta negoziando senza scrupoli. E Renzi che cosa fa?

Cosa significa oggi l’euro per i nostri Paesi?

L’euro è una scommessa persa. La scommessa era che una moneta unica permettesse a economie tanto lontane come la Renania e la Grecia di convergere. Non soltanto questo avvicinamento non si è verificato, ma la distanza tra i Paesi settentrionali e meridionali non smette di crescere. Ciò è dovuto essenzialmente alla mobilità dei capitali nella zona euro che, dall’inizio, è uno dei pilastri della costruzione europea. I Paesi del Nord hanno mediamente meno aumenti salariali di quelli del Sud e quindi meno inflazione.

Di conseguenza, dopo 15 anni, il tasso di interesse unico della Bce è più remunerativo al Nord che al Sud. Non sorprende, quindi, che i capitali vengano investiti di più a Nord, mentre al Sud si verifica una rapida deindustrializzazione. La difficoltà è che, per un Paese come l’Italia, uscire dall’euro è un tabù. I Paesi del Nord discutono di una possibile scissione della zona euro per separarsi dai Paesi fragili del Sud. In questo scenario, la Francia e l’Italia resterebbero unite ai Paesi del Nord, per dare l’impressione che si persegua il progetto europeo delle origini. Sarebbe una catastrofe per i nostri Paesi, ancora più asfissiati da un euro-Nord ancora più caro.

Disoccupazione e smantellamento dello lo Stato sociale provocano delusione in milioni di europei. Come si può invertire l’ordine delle cose?
Innanzitutto oggi il progetto europeo non è più un progetto politico. L’onnipotenza dei mercati finanziari è stata solo scalfita dopo il 2008. Ci occorre un vero progetto politico per l’Europa e credo che sia a portata di mano. Si tratta della transizione energetica. È una necessità, se si tiene conto del cambiamento climatico, della disponibilità sempre più limitata di idrocarburi fossili e dei pericoli di una eccessiva dipendenza dal gas russo. Infine, è una opportunità se vogliamo che l’Europa esca dalla trappola della deflazione in cui i programmi insensati di austerità di bilancio l’hanno portata.

Per lanciare il progetto serve un coordinamento politico tra un gruppo di Stati per attuare: 1) una vera regolamentazione dei mercati finanziari per liberare le nostre democrazie dai capricci di un pugno di persone ricchissime; 2) la sostituzione della moneta com’è oggi con un euro unico per tutte le transazioni fuori dalla zona euro, mentre useremmo all’interno diversi euro «nazionali», il cui corso sarebbe fissato politicamente; 3) il finanziamento di un vasto progetto europeo di rinnovamento termico degli edifici, di promozione della mobilità verde e delle energie rinnovabili. Tutto ciò è tecnicamente realizzabile. Manca solo il coraggio politico per lanciarsi.

In che cosa consiste questa transizione?
Si tratta di passare a una economia verde, rispettosa delle risorse naturali e della vita delle prossime generazioni. Il progetto è straordinariamente promettente per l’impiego. Certamente, costa caro: in Paesi come l’Italia o la Francia servono dai 50 ai 100 miliardi di euro all’anno, per circa un decennio. Ma il settore bancario in crisi è costato all’Europa diverse migliaia di miliardi di euro. La transizione ecologica può restituire un contenuto politico al progetto europeo. Va in questa direzione anche la bella dichiarazione dei vescovi europei del gennaio 2012.

f.p.

© FCSF – Popoli