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L’oro dei maya
Pochi alimenti al mondo hanno un significato simbolico e identitario per un popolo come il mais, al centro della cultura maya nel passato glorioso e nei secoli di oppressione. Gianni Vecchiato ha esplorato con la sua macchina fotografica il senso profondo di questo legame
(febbraio 2014)
Il mais fu molto di più della base economica della civiltà maya: fu oggetto di culto e ogni maya che lavorava la terra riservava al mais un posto nel suo cuore. Secondo la mitologia, la creazione stessa dell’uomo era legata a questo cereale e per il mais i maya si dedicarono alla costruzione di piramidi e templi che servivano a riconciliare gli dei del cielo e della terra. Da essi dipendeva la protezione dei campi.
Anche oggi, dopo secoli di influenza religiosa e culturale cristiana, le popolazioni maya nutrono un rispetto sacro per questo prodotto della terra, considerato dono supremo di Dio all’uomo e, perciò, tutto il lavoro intorno a esso è accompagnato da celebrazioni religiose. Se ancora oggi quattro quinti dell’alimentazione in alcune regioni del Guatemala dipendono dal mais, si comprende l’attenzione per questo cibo, coltivato con fatica, ma generoso perché adattabile ai climi e di grande valore nutritivo.
Le pannocchie del mais non sono solo gialle e uniformi, ma di diverse dimensioni e colori che spaziano dal bianco al rosso, dal blu al nero. Si presume che alcune varietà coltivate derivino da ibridazioni avvenute migliaia di anni fa con altre erbe diffuse in Mesoamerica.
È normale perciò che un tale alimento sia considerato dai maya in Guatemala e nel sud del Messico come sinonimo di sicurezza alimentare e bene rifugio nei periodi di crisi. Ma negli ultimi anni, soprattutto in Messico, dove produzione e commercio sono stati messi in concorrenza con il mercato degli Usa, per i contadini è diventato sempre più difficile affrontare i giganti agroindustriali con i loro brevetti, gli agenti chimici, i generosi sussidi.
Gianni Vecchiato
Gianni Vecchiato è nato a Castelfranco Veneto e vive a Paderno del Grappa (Tv). Pittore e fotografo, dagli anni Ottanta unisce l’arte dello scatto con uno spirito di ricerca, specialmente tra i popoli indigeni dell’Asia orientale e dell’America latina e che trova, nel Guatemala, una meta privilegiata. Nel suo lavoro tra i maya ha sempre avuto l’obiettivo di trasmettere la ricchezza umana e culturale di un popolo che nel corso dei secoli ha visto costantemente violati i propri diritti.
Dai suoi viaggi sulle tracce di questa cultura sono nati alcuni calendari di grande successo e, nel 1989, il volume Guatemala Rainbow. Pubblicato da Pomegranate in California, è diventato un bestseller che ha fatto conoscere Vecchiato negli Stati Uniti. Sue immagini sono contenute nel volume del National Geographic Lost Kingdom of Maya.
Nel 1998 ha partecipato alla rassegna fotografica della Biennale di Barcellona. In Italia ha realizzato, in collaborazione con l’Ong Cisv, alcune mostre personali su temi legati alle culture e alle spiritualità «altre».
2014. Pianeta cibo
Continua nel 2014 il viaggio per immagini dedicate al tema del cibo nelle sue mille declinazioni: fondamentale (e spesso carente) sostegno per la vita, occasione per promuovere o negare i diritti dei lavoratori e dell’ambiente, espressione di identità culturali, elemento di feste e riti. «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» è anche il tema dell’Esposizione Universale che si apre a Milano il 1º maggio 2015 e nella quale anche Popoli è coinvolta, attraverso la promozione
di alcuni eventi.

Si ringrazia per il contributo: Cisl Lombardia - In collaborazione con Altromercato