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Anarchia Libia: "Gli sbarchi degli immigrati riprenderanno"
16 aprile 2012
«Appena tornerà la bella stagione e le condizioni meteo lo permetteranno, riprenderanno gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane. Su questo non c’è dubbio. D’altra parte, chiunque fosse nella posizione delle migliaia di africani subsahariani attualmente in Libia farebbe di tutto per lasciare il Paese». Chi parla è un religioso, che vuole mantenere l’anonimato, che da anni lavora con gli immigrati che arrivano in Italia dal Corno d’Africa e dall’Africa occidentale. Il quadro che traccia della situazione libica non è confortante. «In Libia - continua -, la fine del vecchio regime ha portato, se possibile, a un peggioramento delle condizioni di vita dei migranti. Nessuno rimpiange Gheddafi, tanto meno i migranti, ma quando c’era lui al governo i rapporti di forza erano chiari. Si sapeva chi deteneva il potere e si sapeva con chi era possibile trattare. Oggi il Paese vive in uno stato di completa anarchia. Non si sa chi comanda e i più deboli sono in balia dell’arbitrio di chi detiene un’arma».

Il riferimento è al debole Comitato di transizione nazionale che, dalla fine della guerra civile (ottobre 2011), formalmente governa la Libia, ma di fatto non controlla la nazione. Il vero potere è in mano alle milizie locale, formate su base clanica, che spadroneggiano imponendosi con la violenza.

Un altro religioso, anch’egli impegnato nel sostegno ai migranti e in contatto con molti eritrei, somali e sudanesi in Libia, racconta le dure condizioni di vita alle quali sono costretti gli africani subsahariani. «La scorsa settimana - spiega - mi è giunta notizia di un gruppo di una sessantina di eritrei e somali che sono stati catturati da una milizia nei pressi dell’oasi di Cufra, al confine con il Sudan. Imprigionati, sono costretti a eseguire lavori pericolosi e pesanti. Per esempio, pulire i mezzi corazzati e le armi dei libici. Lavorano tutto il giorno, spesso senza mangiare né bere. I libici li maltrattano: picchiano gli uomini e violentano le donne. Di fatto, sono in stato di schiavitù».

Il fatto che siano stati catturati nell’oasi di Cufra dimostra anche che è stata riattivata la rotta che, partendo dal Corno d’Africa, attraversa il Sudan, arrivando in Libia e poi in Europa oppure dal Sudan prosegue verso l’Egitto e, dopo aver attraversato il Sinai, si dirige verso Israele. «Questa rotta - spiega la nostra fonte - è rimasta inutilizzata solo nei mesi della guerra. Terminato il conflitto il flusso è ripreso. Si tratta di una rotta molto pericolosa sia perché attraversa il deserto esponendo le persone a condizioni di vita terribili (caldo torrido di giorno, freddo implacabile di notte), sia perché i trafficanti che operano su questa rotta sono particolarmente feroci. I migranti vengono spesso venduti dai passeurs sudanesi a quelli egiziani o a quelli libici che li sequestrano e pretendono somme ingenti per il rilascio».

Questo traffico è gestito dalla criminalità organizzata, ma in esso hanno una parte importante anche i miliziani libici, gli ex poliziotti e gli ex militari di Gheddafi. Tutti sfruttano i migranti cercando di ottenere il massimo da loro in termini di lavoro e di soldi. La stessa popolazione libica non li tratta in modo umano. «Da sempre gli arabi hanno un rapporto conflittuale con gli africani - spiegano entrambi i religiosi -. Non è un caso che, per decenni, le stesse popolazioni libiche di colore che vivono nella regione del Fezzan siano state discriminate. E ancora oggi gli africani subsahariani vengono malmenati per strada. Queste aggressioni vengono giustificate dicendo che i “neri” erano sostenitori di Gheddafi. In realtà, sebbene sia vero che tra i miliziani del vecchio rais ci fossero mercenari dell’Africa subsahariana, questa è una scusa che nasconde un razzismo atavico. I ragazzi che sono riusciti ad arrivare sulle nostre coste hanno sempre denunciato le discriminazioni da parte dei libici».

Se l’accordo Gheddafi-Berlusconi siglato nel 2008 era riuscito a bloccare i flussi degli immigrati (senza però rispettarne i diritti umani e talvolta respingendoli verso Paesi in cui subivano dure ritorsioni), oggi un’intesa di questo tipo rimarrebbe sulla carta. Il governo di Tripoli non controlla il Paese in mano alle milizie. Le coste sono quindi controllate dalle milizie in combutta con i trafficanti di uomini. Se si paga e si riesce a ottenere un posto in un’imbarcazione diretta verso l’Europa. Per fuggire da quell’inferno che oggi è la Libia, gli immigrati sono disposti a tutto. Per questo, non appena la stagione lo permetterà, gli sbarchi riprenderanno.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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