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Aweis, l'uomo che ha vinto tre volte
15 maggio 2013

La storia di un somalo rifugiato in Italia e delle sue battaglie: contro la violenza in patria, per la libertà attraverso il deserto e contro la burocrazia, per ritrovare i figli. Dalla rubrica curata dal Centro Astalli - sezione italiana del Servizio dei gesuiti per i rifugiati - che esce tutti i mesi su Popoli.

Credeva di riuscire a cavarsela, Aweis, nel caos di Mogadiscio. Contava sui suoi mille contatti, sulla capacità di stare al mondo con un pizzico di astuzia. Anche quando le milizie di al-Shabaab hanno dato alle fiamme il suo cinema, uno spazio di leggerezza e di vita in una città piegata dagli scontri armati, non ha pensato subito di andarsene. Ha cercato di ritagliarsi uno spazio per un’esistenza tranquilla, venendo a patti con chi comandava in quel momento. Poi una richiesta, inaccettabile: uccidere degli innocenti per provare la propria cieca obbedienza. A questo Aweis non può acconsentire.

Rifiutandosi di diventare un assassino per paura, Aweis registra la sua prima vittoria, quella contro la spirale di violenza che da troppi anni travolge la sua Somalia. È una vittoria amara, che paga con la fuga. Una discesa agli inferi in cui un orrore lascia il posto a un altro orrore: trafficanti senza scrupoli, un itinerario infinito in cui la vita umana sembra non contare più nulla, in quel Sahara in cui si vive o si muore per una manciata di dollari.

Aweis combatte per sopravvivere, ma anche per non perdere la sua dignità. Per non assuefarsi alle atrocità quotidiane.

Aweis vince ancora, sopravvivendo al suo personale duello con la morte. Il deserto non lo inghiotte, i flutti del Mediterraneo non lo travolgono. Neanche il percorso, tutto in salita, che deve intraprendere da rifugiato in Italia ne abbatte la forza d’animo. La mente corre costantemente a chi è rimasto a casa. Qualcuno è stato ucciso dalla vendetta cieca dei persecutori. Ma a Mogadiscio ha lasciato tre bambini, che in tutta la loro vita non hanno mai conosciuto la pace. Non sarebbe un padre se non si buttasse, anima e corpo, anche in questa battaglia: portarli in Italia.

Una guerra diversa, altrettanto estenuante: burocrazia, ritardi, cavilli incomprensibili. Ma è arrivata anche la terza vittoria, e molte altre seguiranno. Noi facciamo il tifo per lui, per loro.

Fondazione Astalli

© FCSF – Popoli