Home page
Webmagazine internazionale dei gesuiti
Cerca negli archivi
La rivista
 
 
 
Pubblicità
Iniziative
Siti amici
Primo piano
Cerca in Primo Piano
 
Da Roma a Sarajevo, una sfida di pace lunga 25 anni
7 settembre 2012
Scrivo da Sarajevo. Ci vengo piuttosto spesso da un anno a questa parte: sto lavorando alla preparazione del prossimo Incontro internazionale per la pace, che si svolgerà qui dal 9 all’11 settembre. Arriva quest’anno a Sarajevo lo spirito di Assisi, di quella storica giornata realizzata dal beato Giovanni Paolo II nel 1986, in quel freddo 27 ottobre di 26 anni fa.
In un quadro internazionale certo diverso da quello in cui viviamo oggi, il papa ebbe l’audacia di convocare nella città di Francesco i rappresentanti delle Chiese cristiane e delle grandi religioni dai quattro angoli del mondo, per invocare la pace come dono di Dio all’umanità e per rivolgere ai capi delle nazioni un forte appello a sospendere ogni guerra. Si trattò di una grande icona di pace, carica di profezia per il mondo. Oggi rappresenta ancora una sfida e una provocazione: sicuramente per noi un’eredità da spendere ogni giorno e poi ogni anno, negli Incontri internazionali che promuoviamo da allora, con cura e attenzione. Così noi della Comunità di Sant’Egidio accogliemmo con profondo affetto e seria responsabilità l’appello di Wojtyla, la sera di quella giornata ventosa sulla collina di Assisi: «Continuate a vivere lo spirito di Assisi, continuate a diffondere il messaggio della pace!».

Ce lo confermò in modo personale e diretto lo stesso Giovanni Paolo II, di anno in anno, accompagnando con la sua benedizione ogni tappa di quel pellegrinaggio di pace iniziato da Assisi, che volemmo da allora promuovere in tante città europee e mediterranee. Venticinque anni di cammino di dialogo e di preghiera per la pace, nutrita da un serio ed entusiasmante incontro umano tra uomini e donne di fede e di cultura differenti, fatto di amicizia e di fiducia reciproca, un «laboratorio di pace» che ha prodotto non pochi frutti in tante aree di conflitto. Davvero abbiamo lavorato insieme e abbiamo chiamato tanti, diversi tra loro, a collaborare in quel «cantiere aperto a tutti» avviato ad Assisi nel 1986. Perché si trattava di un cantiere aperto dove continuare a lavorare, non di un monumento alla memoria.
Iniziammo nel 1987 a Roma: quel primo incontro si intitolò «La preghiera alla radice della pace». Allora c’era nell’aria qualche perplessità, quasi che Assisi dovesse rimanere un unicum. Ma il papa ci ricevette insieme a tutti i leader religiosi venuti all’incontro e ci disse: «Ma voi dovete continuare!». Ne nacque un vero itinerario spirituale e geografico che, dopo Roma, ci ha portato a Varsavia, il 1° settembre 1989, quando tutto era in movimento nell’Europa centro orientale, a due mesi dal crollo del muro di Berlino; quindi a Bari, agli albori della guerra del Golfo nel 1990; poi a Malta l’anno successivo, quando si metteva in moto il processo di pace in Medio Oriente e si palesava la crisi iugoslava. Ci siamo raccolti a Bruxelles nel 1992, nel pieno dibattito sull’Europa; poi a Milano, di nuovo ad Assisi nel 1994 e quindi a Gerusalemme, nel cuore della città vecchia, dove ebrei, cristiani e musulmani hanno piantato tre alberi di ulivo. Il cammino è continuato a Firenze, Venezia, ed è giunto a Bucarest nel 1998, dove, in collaborazione con i cristiani romeni, e in particolare con la Chiesa ortodossa, si è realizzato un grande evento interreligioso ed ecumenico. Quell’evento, come affermò l’allora metropolita di Moldavia Daniel, oggi patriarca, avrebbe aperto la strada alla storica visita del papa qualche mese dopo: la prima visita in un Paese a maggioranza ortodossa, nel maggio 1999.
A Barcellona, era la sera del 4 settembre 2001 quando sulla piazza della cattedrale i rappresentanti religiosi firmavano l’Appello di pace. Sette giorni dopo, l’11 settembre, il dramma delle Torri gemelle. Da allora, negli ultimi dieci anni, abbiamo attraversato stagioni difficili, piene di conflitti e di violenza. Quello che serviva davvero - si è detto in più occasioni - era la forza di soluzioni radicali, non certo il dialogo. «Il dialogo è debolezza, è ingenuità, è presentarsi disarmati di fronte alla violenza - si è a più voci affermato -. Il dialogo non cambia certo il mondo: c’è bisogno di altro… E poi, che risultati positivi ha prodotto la via del dialogo?»

Il dialogo e la preghiera per la pace, due tra i principali elementi dello «spirito di Assisi», sono molto simili. E si può dire: dove sono i frutti della preghiera se la guerra continua a esistere? Ma se il mondo senza il dialogo sarebbe un mondo disumano, senza la preghiera sarebbe un mondo senza Dio. Lo esprimeva con chiarezza Giovanni Paolo II, ancora la sera del 27 ottobre 1986: «Ciò che abbiamo fatto oggi ad Assisi (…) è di vitale importanza per il mondo. Se il mondo deve continuare, e gli uomini e le donne devono sopravvivere su di esso, il mondo non può fare a meno della preghiera».
Allora, incoraggiati da lui e sostenuti da tanti credenti, abbiamo continuato, negli anni fino ad oggi. Lo spirito di Assisi - è l’esperienza viva di questi anni - entra nella storia e la attraversa, percorre le vicende concrete degli uomini, tocca i problemi della vita dei popoli per cercare con fiducia, attraverso la preghiera, il dialogo e l’amicizia, la via del convivere pacifico e del bene comune. Così nel 2009 si sono tenuti l’Incontro di Cracovia e il pellegrinaggio ad Auschwitz-Birkenau in occasione dei settant’anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale e, dopo la Preghiera per la Pace di Barcellona, l’Incontro di Monaco, apertosi l’11 settembre del 2011, nel decimo anniversario degli attentati di New York e Washington, per voltare insieme la pagina della storia.
Ma le religioni e le culture, in dialogo a Monaco, hanno affermato l’inizio di un nuovo decennio del XXI secolo, dopo il primo, quello dello scontro e della inutile e drammatica violenza; forse, questa la speranza e l’impegno, sarà il decennio del dialogo e dell’impegno nella costruzione di una convivenza pacifica, nella consapevolezza del comune destino di vivere insieme: «Bound to Live Together» è il tema affrontato e sviluppato con profondità.

Venticinque anni di incontri e di un dialogo fatto di relazioni e di sincera collaborazione, ricco di un’intensa dialettica con la realtà contemporanea e con i suoi cambiamenti: un profondo legame con la storia. Sempre è stata sottolineata la responsabilità degli uomini e delle donne di fede, quella di orientare in profondità i loro correligionari attraverso una parola ispirata e una vita vissuta con aderenza al loro credo.
Quest’anno a Sarajevo: l’occasione è quella dei vent’anni dal più lungo e drammatico assedio in Europa dal dopoguerra. La tre giorni di incontro si svolgerà all’inizio del prossimo settembre e già si presenta carica di significati, grazie anche alle numerose personalità religiose e politiche che hanno assicurato la loro presenza. Sarajevo, città simbolo della sofferenza e della speranza - qui è iniziato il dramma della prima guerra mondiale all’inizio del secolo passato e qui si è consumata l’ultima tragica guerra del Novecento -, definita da Giovanni Paolo II nella sua visita dell’aprile 1997 la «Gerusalemme dell’Europa».
A quindici anni da quella visita e a 50 anni dal Concilio Vaticano II - radice in qualche modo dello stesso «spirito di Assisi» e di una nuova stagione del dialogo interreligioso - le religioni vogliono inviare un messaggio forte da Sarajevo. Proprio qui dove esse sono state maggiormente e impropriamente strumentalizzate per la contrapposizione fino alla guerra, affermeranno che non c’è futuro senza il «vivere insieme». Lo diranno forte all’Europa - e Sarajevo è la verità dell’Europa - e al mondo intero, la sera del prossimo
11 settembre.
Alberto Quattrucci
Segretario generale di «Incontri internazionali
Uomini e religioni»

© FCSF – Popoli
Tags
Aree tematiche
Aree geografiche