Popolo diviso tra più Paesi, quello
degli «uomini blu» esprime (anche) attraverso la musica il proprio
desiderio di libertà e di indipendenza. Di seguito l'articolo pubblicato
sul numero di aprile 2010 di Popoli
.
C’è
stato un tempo in cui imbracciavano contemporaneamente il kalashnikov e
la chitarra elettrica. Sono il gruppo tuareg Tinariwen, fondato da
Ibrahim Ag Alhabib, nomade del Mali, cresciuto negli anni Settanta nei
campi profughi di Tamanrasset (Algeria) e formatosi in seguito nelle
milizie di Gheddafi. Il colonnello libico si proponeva allora di creare
un esercito del Sahara composto dai migliori giovani tuareg e,
attraverso la musica e la composizione di motivi ispirati alla
ribellione e all’indipendenza del popolo del deserto, volle montare,
insieme ad Alhabib e soci, una macchina di propaganda che viaggiasse di
campo in campo e di comunità in comunità mediante cassette registrate.
Insofferenti
a questa strumentalizzazione della causa tuareg, Alhabib e i suoi
compagni decisero di diventare musicisti a tempo pieno e, alla fine
degli anni Ottanta, alcuni di loro lasciarono la Libia alla volta del
natio Mali. Inizialmente noti solo nella comunità nomade sahariana, a
partire dal 1996 i Tinariwen (che in lingua
tamashek significa «deserti»
ed è il plurale di
ténéré) iniziarono a farsi notare anche fuori dal
continente africano. La loro è una musica che si può, a buon diritto,
definire di «resistenza». La resistenza di un popolo senza confini e
nazionalità, che veicola un messaggio di libertà e indipendenza.
Influenzato dal rock occidentale, così come dalle sonorità popolari del
Maghreb, Ibrahim Ag Alhabib si è avvicinato alla musica proprio
attraverso la chitarra, facendone uno strumento dal suono peculiare, la
vera cifra stilistica del suo gruppo.
Gli aspetti certamente più
originali dei Tinariwen sono comunque la personalità carismatica di
Ibrahim e l’
assouf, lo stile musicale tuareg fatto di chitarra blues,
basso, percussioni e vocalizzi tradizionali (nella formazione c’è anche
una donna, Mina Walet Oumar, la voce del gruppo). I Tinariwen sono ormai
star internazionali: si sono esibiti in tutti i continenti, hanno
realizzato dischi, partecipato a festival e vinto premi prestigiosi.
Sono anche diventati soggetti di documentari e servizi televisivi. Il
loro ultimo lavoro, osannato dalla critica europea, è
Imidiwan («I
compagni»), uscito nel 2009, di cui il brano
Lulla rappresenta le
vibrazioni sonore prodotte da questi bluesmen del deserto.
Maestri
nel loro genere, i Tinariwen mettono un po’ nell’ombra gli altri gruppi
tuareg, meno noti e, probabilmente, anche meno innovativi. Tra questi, i
Tartit, una band tradizionale composta da cinque donne e quattro uomini
appartenenti a Kel Antessar, una delle tre confederazioni in cui sono
organizzati tradizionalmente i tuareg. I Tartit, che sono nati nel 1995
in un campo profughi del Burkina Faso, cantano l’amore e la pace, ma
anche la guerra e l’esilio, principalmente avvalendosi di voce e
percussioni. Il loro ultimo cd è
Abacabok, inciso nel 2006.
È
impegnato politicamente nella rivendicazione dell’identità tuareg anche
Abdallah Oumbadougou, originario del Niger. Virtuoso della chitarra ed
esiliato all’estero come Alhabib, Oumbadougou suona con il gruppo
Takrist N’Akal. Uno dei loro lavori più significativi è
Desert rebel del
2007, a cui è abbinato un dvd sulla vita dei nomadi del deserto.
E,
infine, ci sono gli Oyiwane, nigerini di Agadez, un gruppo che miscela
percussioni, voci femminili e chitarra elettrica. Il loro ultimo lavoro è
Sahara, album uscito nel 2005 per la casa discografica francese
Harmonia Mundi.
Alessandra Abbona