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Deserto e ribellione nel blues dei tuareg
23 settembre 2011
Popolo diviso tra più Paesi, quello degli «uomini blu» esprime (anche) attraverso la musica il proprio desiderio di libertà e di indipendenza. Di seguito l'articolo pubblicato sul numero di aprile 2010 di Popoli.

C’è stato un tempo in cui imbracciavano contemporaneamente il kalashnikov e la chitarra elettrica. Sono il gruppo tuareg Tinariwen, fondato da Ibrahim Ag Alhabib, nomade del Mali, cresciuto negli anni Settanta nei campi profughi di Tamanrasset (Algeria) e formatosi in seguito nelle milizie di Gheddafi. Il colonnello libico si proponeva allora di creare un esercito del Sahara composto dai migliori giovani tuareg e, attraverso la musica e la composizione di motivi ispirati alla ribellione e all’indipendenza del popolo del deserto, volle montare, insieme ad Alhabib e soci, una macchina di propaganda che viaggiasse di campo in campo e di comunità in comunità mediante cassette registrate.
Insofferenti a questa strumentalizzazione della causa tuareg, Alhabib e i suoi compagni decisero di diventare musicisti a tempo pieno e, alla fine degli anni Ottanta, alcuni di loro lasciarono la Libia alla volta del natio Mali. Inizialmente noti solo nella comunità nomade sahariana, a partire dal 1996 i Tinariwen (che in lingua tamashek significa «deserti» ed è il plurale di ténéré) iniziarono a farsi notare anche fuori dal continente africano. La loro è una musica che si può, a buon diritto, definire di «resistenza». La resistenza di un popolo senza confini e nazionalità, che veicola un messaggio di libertà e indipendenza. Influenzato dal rock occidentale, così come dalle sonorità popolari del Maghreb, Ibrahim Ag Alhabib si è avvicinato alla musica proprio attraverso la chitarra, facendone uno strumento dal suono peculiare, la vera cifra stilistica del suo gruppo.
Gli aspetti certamente più originali dei Tinariwen sono comunque la personalità carismatica di Ibrahim e l’assouf, lo stile musicale tuareg fatto di chitarra blues, basso, percussioni e vocalizzi tradizionali (nella formazione c’è anche una donna, Mina Walet Oumar, la voce del gruppo). I Tinariwen sono ormai star internazionali: si sono esibiti in tutti i continenti, hanno realizzato dischi, partecipato a festival e vinto premi prestigiosi. Sono anche diventati soggetti di documentari e servizi televisivi. Il loro ultimo lavoro, osannato dalla critica europea, è Imidiwan («I compagni»), uscito nel 2009, di cui il brano Lulla rappresenta le vibrazioni sonore prodotte da questi bluesmen del deserto.
Maestri nel loro genere, i Tinariwen mettono un po’ nell’ombra gli altri gruppi tuareg, meno noti e, probabilmente, anche meno innovativi. Tra questi, i Tartit, una band tradizionale composta da cinque donne e quattro uomini appartenenti a Kel Antessar, una delle tre confederazioni in cui sono organizzati tradizionalmente i tuareg. I Tartit, che sono nati nel 1995 in un campo profughi del Burkina Faso, cantano l’amore e la pace, ma anche la guerra e l’esilio, principalmente avvalendosi di voce e percussioni. Il loro ultimo cd è Abacabok, inciso nel 2006.
È impegnato politicamente nella rivendicazione dell’identità tuareg anche Abdallah Oumbadougou, originario del Niger. Virtuoso della chitarra ed esiliato all’estero come Alhabib, Oumbadougou suona con il gruppo Takrist N’Akal. Uno dei loro lavori più significativi è Desert rebel del 2007, a cui è abbinato un dvd sulla vita dei nomadi del deserto.
E, infine, ci sono gli Oyiwane, nigerini di Agadez, un gruppo che miscela percussioni, voci femminili e chitarra elettrica. Il loro ultimo lavoro è Sahara, album uscito nel 2005 per la casa discografica francese Harmonia Mundi.
Alessandra Abbona
© FCSF – Popoli
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