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Mali : Timbuctu, miraggio riconciliazione |
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In primavera l’offensiva francese, in collaborazione con l’esercito maliano, ha riportato la città del Nord, famosa per le sue moschee, sotto il
controllo di Bamako. Il processo di riconciliazione però procede a rilento e i dissidi tra popolazioni nere, arabi e tuareg non si sono ancora spenti |
Fascicolo: novembre 2013 |
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Mali : Islam vs Islam |
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Nel Paese si registra una crescente affermazione di movimenti che predicano un islam fondamentalista in contrasto con la tradizionale visione moderata e dialogante della fede musulmana maliana. Ne sta nascendo uno scontro nel quale gli Stati del Golfo non sono spettatori neutrali |
Fascicolo: dicembre 2012 |
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Mali, polveriera Azawad |
L'offensiva contro il governo centrale scatenata dai ribelli tuareg sembra inarrestabile. Intanto a Bamako un gruppo di militari con un golpe ha abbattuto il regime democratico e sospeso la costituzione. L'analisi di una crisi politico-militare dietro alla quale paiono nascondersi interessi più grandi...
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Data: 2 aprile 2012 |
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Mali : Polveriera Azawad |
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I tuareg hanno lanciato un’offensiva militare contro il governo di Bamako. Chiedono l’indipendenza
del Nord, ma dietro alla rivolta paiono nascondersi interessi più grandi: la gestione delle risorse minerarie e il contenimento del fondamentalismo islamico. E intanto si avvicina il voto |
Fascicolo: aprile 2012 |
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Azawad, le ragioni di una crisi politico-militare |
Il golpe in Mali di martedì scorso arriva dopo un periodo di tensioni iniziate il 17 gennaio, quando il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad ha iniziato una guerra per l'indipendenza. I retroscena di una crisi che rischia di destabilizzare il Sahel.
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Data: 23 marzo 2012 |
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Colpo di Stato in Mali, a Bamako calma apparente |
Testimonianze di italiani che vivono nel Paese dell’Africa occidentale parlano di un'apparente calma dopo il golpe di giovani militari contro il presidente Touré. C’è però il timore che questo putsch sia la premessa per un’offensiva militare al Nord, anticamera di una strage di tuareg
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Data: 22 marzo 2012 |
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Il Niger prova a cambiare |
Un sacerdote italiano che da anni lavora nel Paese saheliano parla della processo democratico in corso e delle buone relazioni con i musulmani, ma anche del pericolo di destabilizzazione legato allo sfruttamento delle miniere di uranio e delle risorse petrolifere. |
Data: 13 marzo 2012 |
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Deserto e ribellione nel blues dei tuareg |
Popolo diviso tra più Paesi, quello degli «uomini blu» esprime (anche) attraverso la musica il proprio desiderio di libertà e di indipendenza. Di seguito l'articolo pubblicato sul numero di aprile 2010 di Popoli .
C’è stato un tempo in cui imbracciavano contemporaneamente il kalashnikov e la chitarra elettrica. Sono il gruppo tuareg Tinariwen, fondato da Ibrahim Ag Alhabib, nomade del Mali, cresciuto negli anni Settanta nei campi profughi di Tamanrasset (Algeria) e formatosi in seguito nelle milizie di Gheddafi. Il colonnello libico si proponeva allora di creare un esercito del Sahara composto dai migliori giovani tuareg e, attraverso la musica e la composizione di motivi ispirati alla ribellione e all’indipendenza del popolo del deserto, volle montare, insieme ad Alhabib e soci, una macchina di propaganda che viaggiasse di campo in campo e di comunità in comunità mediante cassette registrate. Insofferenti a questa strumentalizzazione della causa tuareg, Alhabib e i suoi compagni decisero di diventare musicisti a tempo pieno e, alla fine degli anni Ottanta, alcuni di loro lasciarono la Libia alla volta del natio Mali. Inizialmente noti solo nella comunità nomade sahariana, a partire dal 1996 i Tinariwen (che in lingua tamashek significa «deserti» ed è il plurale di ténéré) iniziarono a farsi notare anche fuori dal continente africano. La loro è una musica che si può, a buon diritto, definire di «resistenza». La resistenza di un popolo senza confini e nazionalità, che veicola un messaggio di libertà e indipendenza. Influenzato dal rock occidentale, così come dalle sonorità popolari del Maghreb, Ibrahim Ag Alhabib si è avvicinato alla musica proprio attraverso la chitarra, facendone uno strumento dal suono peculiare, la vera cifra stilistica del suo gruppo. Gli aspetti certamente più originali dei Tinariwen sono comunque la personalità carismatica di Ibrahim e l’assouf, lo stile musicale tuareg fatto di chitarra blues, basso, percussioni e vocalizzi tradizionali (nella formazione c’è anche una donna, Mina Walet Oumar, la voce del gruppo). I Tinariwen sono ormai star internazionali: si sono esibiti in tutti i continenti, hanno realizzato dischi, partecipato a festival e vinto premi prestigiosi. Sono anche diventati soggetti di documentari e servizi televisivi. Il loro ultimo lavoro, osannato dalla critica europea, è Imidiwan («I compagni»), uscito nel 2009, di cui il brano Lulla rappresenta le vibrazioni sonore prodotte da questi bluesmen del deserto. Maestri nel loro genere, i Tinariwen mettono un po’ nell’ombra gli altri gruppi tuareg, meno noti e, probabilmente, anche meno innovativi. Tra questi, i Tartit, una band tradizionale composta da cinque donne e quattro uomini appartenenti a Kel Antessar, una delle tre confederazioni in cui sono organizzati tradizionalmente i tuareg. I Tartit, che sono nati nel 1995 in un campo profughi del Burkina Faso, cantano l’amore e la pace, ma anche la guerra e l’esilio, principalmente avvalendosi di voce e percussioni. Il loro ultimo cd è Abacabok, inciso nel 2006. È impegnato politicamente nella rivendicazione dell’identità tuareg anche Abdallah Oumbadougou, originario del Niger. Virtuoso della chitarra ed esiliato all’estero come Alhabib, Oumbadougou suona con il gruppo Takrist N’Akal. Uno dei loro lavori più significativi è Desert rebel del 2007, a cui è abbinato un dvd sulla vita dei nomadi del deserto. E, infine, ci sono gli Oyiwane, nigerini di Agadez, un gruppo che miscela percussioni, voci femminili e chitarra elettrica. Il loro ultimo lavoro è Sahara, album uscito nel 2005 per la casa discografica francese Harmonia Mundi. Alessandra Abbona
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Data: 23 settembre 2011 |
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Tuareg, un popolo in lotta contro la povertà |
Abitare in un territorio ricchissimo, ma in estrema povertà. È questo il paradosso che vivono i tuareg in Niger. «Da secoli - spiega Moussa Annour, esponente della comunità tuareg in Italia - i tuareg abitano le regioni settentrionali del Niger. Le loro carovane attraversavano il deserto commerciando e cercando pascoli per il loro bestiame. In anni recenti, però, questo modello è entrato in crisi. Le ricorrenti siccità hanno ridotto i pascoli e quindi molti tuareg si sono sedentarizzati». Molti di loro, per riuscire a sopravvivere, si sono trasferiti nelle periferie della città, dove si arrangiano con piccoli lavoretti. «La maggior parte - continua Annour - vive in estrema povertà sognando di poter tornare nel deserto con le loro famiglie e le loro carovane». È la povertà che li ha portati a ribellarsi negli anni Settanta e poi ancora nel 1995 e nel 2006. «Queste rivolte - osserva Elhadji Oubana, meglio conosciuto come Haddo, nigerino, presidente della Ong Mondo tuareg e responsabile della comunità tuareg in Italia - non sono mai state organizzate per chiedere una secessione, ma solo migliori condizioni di vita. Anche perché i tuareg abitano in regioni ricchissime di uranio, i cui proventi non sono mai stati reinvestiti in loco, ma sono andati ad arricchire i politici di Niamey». La speranza ora arriva dal nuovo clima politico che si respira in Niger. Caduto l’ex presidente Tadja, le elezioni che si sono tenute ad aprile hanno portato al potere Mahamadou Issoufou, che ha promesso una svolta democratica. «Il nuovo governo - osserva Moussa Annour - ha promesso una maggiore decentralizzazione del potere. Già oggi il governatore della regione di Agadez e il sindaco di Agadez sono tuareg. È la prima volta che avviene dalla nascita del Niger nel 1960». Alcuni osservatori sostengono che ci sia il pericolo della diffusione del fondamentalismo islamico tra i tuareg e gli stessi “uomini blu” non escludono questo rischio, anche se ritengono che, per il momento, l’influenza integralista non è ancora così profonda. «Noi siamo musulmani - osserva Haddo -, ma nel nostro popolo è sempre prevalsa l’identità culturale su quella religiosa. Ed è così ancora adesso. Il rischio che si diffonda il fondamentalismo però c’è. Molti nostri giovani senza lavoro e senza futuro potrebbero farsi “corrompere” dalle promesse dei movimenti integralisti islamici che iniziano a diffondersi tra la popolazione araba del deserto. Se la giovane democrazia nigerina saprà redistribuire le ricchezze del Paese, riusciremo a evitare questo rischio». e.c.
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Data: 20 settembre 2011 |
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Libia, il massacro silenzioso dei tuareg |
Gli “uomini blu”, fuggiti negli anni passati dal Niger, sono stati arruolati nell’esercito di Gheddafi e a centinaia sono morti per difendere il rais. Ora le loro famiglie sono rientrate ad Agadez dove vivono in povertà in campi di accoglienza allestiti dal governo nigerino.
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Data: 20 settembre 2011 |
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