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India: chi beneficerà del voto?
6 maggio 2014

Il gigante asiatico sta per completare il processo elettorale durato un mese e che porterà al nuovo governo. Un gesuita dell’Istituto Sociale indiano di Bangalore analizza l’esito incerto del voto e, soprattutto, le scarse prospettive per gli esclusi dallo sviluppo economico.

Le elezioni politiche indiane, che sono in corso dal 7 aprile, si concluderanno sabato 12 maggio. Il Paese elegge i 543 membri del Parlamento per i prossimi cinque anni. L’India con orgoglio si definisce il più grande Paese democratico del mondo, avendo più di 788 milioni di votanti (su quasi 1.300 milioni di abitanti), più dell’intera popolazione dell’Europa. Un centinaio di partiti politici partecipano alla corsa elettorale, ma molti finiranno nel nulla perché sono stati creati solo per interessi economici e si fonderanno con uno dei partiti maggiori. Quattro di essi sono riconosciuti come partiti nazionali: Indian National Congress (Inc), Bharatiya Janata Party (Bjp), Community Party of India (comunisti) e Bahujan Samaj Party (Bsp). Gli altri sono ritenuti partiti regionali con interessi e visibilità variabili. Solo l’Inc e il Bjp sono i veri competitori insieme alle loro coalizioni.

Entro la fine di maggio l’India avrà un nuovo governo e ci sono alcune questioni, anche gravi, sul tappeto, chiunque andrà al potere. Ogni elezione generale ha provocato cambiamenti netti di indirizzo politico, ma la prossima legislatura, la 16ª dall’indipendenza del 1947, è vista come la più significativa e, allo stesso tempo, quella dagli esiti più imprevedibili, poiché è in corso una netta riconfigurazione politica in termini di ideologia, giustizia economica e sociale, corruzione e sviluppo.

Tramonto del secolarismo

Due fondamentali ideologie sono in competizione e sono rappresentate dalla United Progressive Alliance (Upa, guidata dal Congresso) e dalla National Democratic Alliance (Nda,  sotto la guida del Bjp), ognuna delle quali comprende anche diversi partiti regionali. Anche se ogni partito promette di combattere povertà, corruzione, disoccupazione, inflazione o altro, ha di mira unicamente il proprio interesse sotterraneo per il quale è stato creato. Il Congresso (Inc) si vanta di difendere i principi laici di Nehru, ma ha fatto molto poco per salvare il secolarismo quando la violenza propugnata dai movimenti estremisti hindu di destra fu lasciata a briglia sciolta in molte parti del Paese, come nel 2002 in Gujarat contro i musulmani, nel 2005 nel Karnataka con attacchi sporadici contro cristiani e musulmani, nel 2008 in Orissa contro i cristiani, o quando nel Tamil Nadu fu introdotta la Legge contro le conversioni con il conseguente attacco alle chiese, ecc.

Il Bjp, d’altra parte, si è legato in modo esplicito all’ideologia Hindutva, sponsorizzata dalla Rss (Rashtria Swayam Sevak, movimento che dichiara l’India una nazione hindu e da cui proveniva l’assassino del Mahatma Gandhi) e da altri gruppi di destra. Il suo candidato alla carica di Primo ministro, Narendra Modi, dichiara addirittura di essere fiero della propria formazione nella Rss.
Il volto economico e sociale dell’India è cambiato con l’avvento della Nuova politica economica (Nep, nella sigla inglese), conosciuta anche come «Manmohanomics», dal nome di Manmohan Singh, il Primo ministro uscente che la lanciò nel 1991 quando era ministro delle Finanze. Il pacchetto di riforme, introdotto con una carica di speranze ed entusiasmo, si è presto rivelato un miraggio perché non dava risposta a nessuno dei problemi di cui il Paese soffriva. Invece, ha accelerato alcuni dei problemi di sempre, come povertà, disoccupazione, disuguaglianza, squilibri sociali e ne ha creati di nuovi come le tensioni e la violenza di matrice etno-religiosa, imponenti spostamenti di popolazioni tribali e di dalit, un’urbanizzazione disordinata e malsana con la formazione di enormi baraccopoli. Mentre formava una piccolissima élite di super-ricchi, creava un divario ampio e non colmabile tra ricchi e poveri, scontri architettati tra dalit e altre comunità dominanti, un degrado ambientale allarmante, disoccupazione in aumento e una corruzione rampante. Moltissimi contadini si sono suicidati per il cambio delle politiche agricole che hanno emarginato gli agricoltori e molte delle loro terre fertili sono state prese con la forza a scopi industriali, per infrastrutture o per diventare Zes (Zone economiche speciali).

I partiti politici hanno dimenticato da tempo che questi sono problemi della gente e nessuno li affronta. L’unico interesse è la conquista del potere con l’aiuto della forza economica del settore imprenditoriale e della forza fisica della malavita. Talvolta si ha l’idea che l’India sia diventata un infinito campo di battaglia, zona di guerra tra comunità e gruppi.

C’è stato un tempo in cui i partiti evolvevano in base a una certa ideologia e gli elettori orientavano le linee politiche. Ad esempio, i partiti politici degli Stati meridionali dove si parlano lingue dravidiche, a partire dal Tamil Nadu, sono emersi sull’onda della protesta sociale e dei movimenti che si opponevano agli atteggiamenti di supremazia braminica e alle politiche del Congresso, i cui vertici politici appartenevano un tempo alla casta dei bramini. Ma oggi la maggior parte dei partiti dravidici è più braminica e legata alle caste alte di qualsiasi altro partito. Si trovano a proprio agio in alleanze perfino con il Bjp e i gruppi induisti di estrema destra. Lo stesso Narendra Modi, pur provenendo da una casta bassa del Gujarat, oggi è l’uomo forte dell’ideologia Hindutva.
L’interesse dei cittadini, lo sviluppo inclusivo e il riscatto dei poveri e degli emarginati, l’armonia religiosa come valore centrale della laicità sono stati dimenticati. Invece, la violenza legata alle identità di gruppo, il sospetto e l’ostilità tra comunità sociali e religiose, forme distorte di sviluppo, invadenza degli interessi del settore privato e vendetta politica sono diventate le tattiche per conquistare il potere.
 
Culto della personalità e dinastie politiche

L’India è la terra della religione e del retaggio monarchico. Anche se in particolare i giovani sorprendono il mondo per l’istruzione moderna e un sapere tecnologico, la mentalità è formata da antichi residui castali e monarchici che appartengono alla tradizione. Tali retaggi storici si manifestano nel culto della personalità e nella venerazione dinastica, visibili nei comportamenti di voto e nello stile di governo. Nel Bjp, Narendra Modi è la figura di culto creata dalla Rss e dal Sangh Parivar (altre organizzazioni nazionaliste hindu) per sputare veleno nei dibattiti e nelle interviste sulle minoranze religiose, i dalit e i tribali. Modi è una creazione della Rss, del mondo imprenditoriale  dominato dalle caste e dagli swami induisti.

Il candidato del Partito del Congresso, Rahul Gandhi, figlio di Rajiv Gandhi, nipote di Indira Gandhi e pronipote di Jawaharlal Nehru è l’erede della famiglia Nehru, la moderna monarchia dietro la quale il Congresso ha perso la capacità di esprimere la sua leadership. Ma il curriculum di Rahul Gandhi dimostra che non sarà mai un leader, tanto meno il leader politico della più grande nazione democratica del mondo con una grande complessità sociale, economica e politica. È un novizio della politica e forse il Congresso si appoggia a lui come possibile Primo ministro perché è il modo più semplice per derubare il Paese. 

Il nesso tra media, forze estremiste e imprese

Il vero pericolo è il legame scellerato
tra la politica, i media e i poteri economici. È il mondo delle imprese il vero guardiano che decide chi deve guidare il Paese, quale deve essere la politica economica, come allocare le risorse, ecc. C’è stato un tempo in cui i media indiani erano visti come indipendenti dal sistema economico, ma oggi sono essi stessi imprese commerciali e la maggior parte dei canali Tv è privata. La questione più grave è che i media privati appoggiano le forze estremiste, corrodendo i principi laici e democratici e accentuando le divisioni su base religiosa e di casta. 

La trasformazione economica indiana è segnata dal crescente divario tra ricchi e poveri. I capitalisti indiani dettano le linee politiche per la crescita, l’istruzione (sempre più connotata da elementi religiosi hindu), la costruzione di infrastrutture o i programmi sociali, mutando il volto dell’India. Da Paese in cui il Welfare State aveva un ruolo a Stato dominato da un capitalismo sempre più anarchico e in cui la maggioranza sta sulla soglia o sotto la soglia della povertà. Perciò le elezioni in corso e la formazione del governo dopo una campagna costata 1,6 miliardi di euro difficilmente cambieranno la vita di poveri ed emarginati, delle minoranze, dei braccianti e di chi vive nelle baraccopoli, cioè di chi ha realmente bisogno di coraggio politico per risollevarsi.

Selvaraj Arulnathan SJ

 

© FCSF – Popoli