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India del Nord: villaggi e templi travolti dai monsoni
17 luglio 2013

Sono quasi seimila le persone disperse nelle inondazioni che hanno colpito alcuni Stati settentrionali dell’India a ridosso dell’Himalaya. La regione più devastata è l’Uttarakand, dove si trovano le sorgenti del Gange, una delle mete di pellegrinaggio più sacre per gli induisti. I monsoni sono iniziati a metà giugno, con due settimane di anticipo, riversando precipitazioni quasi quadruple rispetto alla norma e cogliendo di sorpresa anche pellegrini e turisti, oltre alla popolazione.

Le autorità hanno mandato l’esercito per portare soccorsi e più di centomila persone sono state evacuate, in una delle maggiori operazioni di soccorso della storia indiana. Anche se sperano di rintracciare alcuni scomparsi, messi in salvo ma non registrati,  molti corpi trasportati dalle acque dei fiumi e ritrovati a centinaia di chilometri di distanza fanno temere il peggio.

Il governo ha promesso indennizzi ai famigliari pari a circa 6mila euro per ogni vittima. «Ma lo Stato non ha imparato nulla dal passato - denuncia alla stampa indiana Sunderlal Bahuguna, anziano leader ecologista e gandhiano -: le zone di collina sono sempre troppo sfruttate, gli alberi vengono tagliati per la legna e si fa razzia di pietre e sabbia nei fiumi». Anche le dighe per l’idroelettrico e lo sviluppo urbano senza regole hanno messo a rischio il sistema idrogeologico.

Fino a giugno si era verificata carenza d’acqua: non aveva piovuto per mesi e con l’avvio della stagione turistica e dei pellegrinaggi ci si aspettava meno caldo e piogge rinfrescanti. Invece è iniziata la devastazione. «La furia della natura - come riferisce sul sito dei gesuiti indiani Jesaonline Arockya Swami, di Almora, nel centro della regione alluvionata - ha colpito innanzitutto le persone, ma anche le strade.  Ci vorranno anni per ricostruire una rete stradale più sicura e affidabile». Molti luoghi restano inaccessibili, i cadaveri abbandonati e le autorità hanno deciso di effettuare con gli elicotteri cremazioni di massa per non lasciarli esposti troppo lungo.

E mentre a Kedarnath i templi hindu sono sommersi dal fango, si è scatenata la polemica politica. Narendra Modi, primo ministro del Gujarat e figura emergente del partito nazionalista hindu Bjp, con l'ambizione di vincere le elezioni nazionali del 2014, ha offerto un’ingente somma allo Stato dell’Uttarakhand (più povero e più piccolo) per la ricostruzione dei luoghi sacri. Ma il governo locale ha rifiutato per non concedere a un rivale politico l’opportunità di sfruttare questa vicenda e i suoi risvolti religiosi a fini elettorali.

Quando il Bjp fu lanciato come forza politica negli anni Ottanta da Lal Krishna Advani, fece propria la battaglia per la ricostruzione di un antico tempio hindu a Ayodhya, nel luogo dove fino a quel momento sorgeva una moschea. La conseguente distruzione della moschea diede il via a una serie di violenze interreligiose durate anni. «Non si preoccupano di nessuno, tranne che dei propri correligionari - denuncia a UcaNews John Dayal, leader di All India Christian Council -. Si appoggiano alla religione come principale fonte di identità, andando oltre le classiche stratificazioni di casta o di classe, per ottenere il potere politico».

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli