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India, le ferite sotto il sari
8 marzo 2013
Il 16 dicembre 2012 è stato il giorno della vergogna e dello choc nazionali. Una banda di sei uomini (cinque adulti e un minore) hanno violentato una studentessa di 23 anni su un autobus in servizio a New Delhi. La vittima, Jyoti Singh, studentessa di fisioterapia in un college di medicina della capitale indiana, stava viaggiando con un suo compagno quando si è scatenata la brutalità. I colpevoli hanno aggredito il ragazzo, l’hanno imbavagliato e gettato a terra privo di sensi, hanno trascinato la ragazza in fondo al veicolo, l’hanno picchiata e violentata. Il bollettino medico parlava di gravi lesioni a intestino, addome e genitali, pare che sia stata penetrata con un oggetto spuntato. È morta il 29 dicembre all’ospedale Mount Elisabeth di Singapore, un centro specializzato dove era stata trasportata d’urgenza a spese del governo indiano.
Immediata è stata la reazione della società civile, un’ondata di sdegno ha attraversato tutto il Paese e per la prima volta dopo un caso simile, decine di migliaia di persone hanno invaso le strade di Delhi e delle grandi città chiedendo giustizia per le vittime. La vita quotidiana di Delhi è stata sconvolta da proteste e blocchi stradali, mettendo in imbarazzo la classe politica. Ma questo incidente esige una riflessione più profonda su ciò che sta accadendo in India nel nome dello sviluppo e della modernità e per farlo occorre affrontare il tema delle caste e del tradizionalismo.

LE CASTE DI MEZZO
Chi conosce la natura, la funzione e l’impatto del sistema delle caste ben saprà che esso è il peggiore strumento di oppressione contro gli emarginati e le donne. Gli appartenenti alle caste subordinate, e le donne in particolare, hanno sempre subito l’odio insito nella mentalità dominante. Descrivere alcuni aspetti della società indiana può aiutare a capire ciò che accade.
Nel 2011 in India sono stati registrati 24.206 casi di stupro e in più di otto casi su dieci le vittime erano dalit, «fuori casta», la parte più emarginata della società. La politica economica neoliberista attuata in India negli ultimi decenni ha avuto anche pericolose conseguenze culturali. Produce, infatti, una cultura consumistica che mercifica ancor di più la donna, considerandola come un oggetto da consumare. Se il corpo delle donne viene considerato un oggetto di consumo, quello delle donne dalit diventa allora il luogo del massimo sfruttamento. Ciò spiega il forte aumento dei casi di violenza carnale su donne fuori casta negli ultimi due decenni.
Se l’India non affronta questo tipo di atteggiamenti ancora legati a una visione di casta, patriarcali e consumistici, i provvedimenti legislativi non serviranno a niente e un maschio di qualunque casta in India resta un potenziale stupratore e un effettivo oppressore: questo è il nocciolo della questione, che purtroppo molti non vedono.
I politici e coloro che si occupano della sicurezza pubblica sono responsabili: è stato piuttosto sconcertante vedere che il partito al governo è stato l’ultimo a mandare le sue raccomandazioni alla Commissione sui casi di violenza sessuale contro le donne, presieduta da J. S. Verma e incaricata di studiare e indicare nuove misure legislative, mentre la polizia di New Delhi non ne ha mandate affatto. Ma forse non dovrebbe sorprendere, se si pensa che circa un terzo dei parlamentari ha ricevuto accuse per reati gravi come stupro, furto e omicidio.
Si registra un numero considerevole di stupri da parte delle forze dell’ordine, che sta crescendo di giorno in giorno.
Ci sono anche magistrati complici: si è discusso tanto su quale tipo di pena possa aiutare a ridurre i casi di stupro in India. Partiti politici, organizzazioni della società civile e singoli cittadini hanno inondato di suggerimenti la Commissione Verma, indicando punizioni che vanno dalla castrazione chimica all’ergastolo alla pena di morte. Ma nessuna di queste punizioni può far diminuire i crimini contro le donne senza una forte e rapida azione giudiziaria. I dati del 2011 mostrano che solo nel 26% dei circa 15mila casi portati in tribunale il colpevole è finito in carcere. E con detenzioni mediamente brevi. Non c’è alcuna attenzione alle vittime, il che non fa che perpetuare il trauma invece che restituire un qualche senso di giustizia.

DELINQUENZA E CITTÀ
La delinquenza si sta sempre più diffondendo nelle città indiane. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale per il crimine, nella sola New Delhi sono stati registrati 453 casi nel 2011, ma anche le altre città hanno quote considerevoli. Le città indiane sono un terreno fertile per le attività illecite di speculatori, trafficanti di droga e malavita, ancor più favoriti dal loro rapporto con i leader politici. Mentre nelle zone rurali la violenza contro le donne è in relazione soprattutto con il sistema delle caste (e il più delle volte questi casi non sono nemmeno registrati), nelle aree urbane è legata a un insieme di fattori che riguardano caste, denaro, droga e altri elementi. Un tempo le città indiane erano considerate i luoghi delle opportunità economiche e della mobilità sociale. Oggi sono spesso aree del crimine e dei capitali mafiosi.
Infine, l’India è un Paese estremamente contraddittorio nei suoi valori e nella sua mentalità. Se da una parte venera la donna come divinità e la terra come madre, dall’altra profana la natura senza scrupoli e spregia la dignità e il pudore delle donne nei modi più crudeli. Se l’India non cambia il suo modo di pensare, liberandosi da ogni forma di legame con il sistema delle caste e di sessismo, la violenza contro le donne non farà che aumentare e la dignità umana resterà in pericolo.

Testo: Selvaraj Arulnathan SJ
Gesuita, direttore di ricerca all’Indian Social Institute di Bangalore
Foto: Giulio Paletta

© FCSF – Popoli