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L'ESPERTO/ Potenzialità e sfide aperte
2 maggio 2012
Lorenzo Rocca è esperto linguistico dell’Università per Stranieri di Perugia e si occupa di certificazione linguistica, elaborando le prove di esame rivolte agli immigrati adulti. Gli abbiamo chiesto anzitutto di spiegarci le novità introdotte dall’Accordo di integrazione.
L’Accordo interessa i cittadini di Paesi terzi neo-arrivati, con età superiore o uguale a 16 anni. È sostanzialmente un patto formativo obbligatorio tra lo Stato e il cittadino straniero. Si sviluppa su due anni (più uno eventualmente di proroga) e pone tre obiettivi, più un quarto per chi ha figli in età scolare: 1) il raggiungimento del livello A2 di competenza della lingua italiana limitatamente al parlato; 2) la conoscenza degli elementi di base della cultura civica in Italia (ad esempio la Costituzione) e della Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione; 3) il raggiungimento di 30 crediti formativi ottenuti attraverso varie modalità; 4) l’adempimento dell’obbligo scolastico per eventuali figli in età scolare.

Come viene verificato il raggiungimento degli obiettivi?
Al termine del biennio il firmatario ha due opzioni. Può arrivare all’atto della verifica, effettuata a cura del Dipartimento delle libertà civili del Ministero dell’Interno, già in possesso della documentazione comprovante il raggiungimento degli obiettivi. Altrimenti deve sostenere un test finale, ovviamente esponendosi a un rischio maggiore, perché nel caso di mancato superamento della prova l’immigrato può rischiare l’espulsione. Peraltro, una recente circolare ministeriale ha chiarito che non ci sarà il rischio di spaccare una famiglia: chi è arrivato in Italia per ricongiungimento familiare non sarà sottoposto alla verifica dei requisiti.

Se l’immigrato raggiunge gli obiettivi cosa succede?
Gli viene rinnovato il permesso di soggiorno. Arrivato a 5 anni di residenza continuativa, il migrante può chiedere il permesso di lungo soggiorno, che dura 5 anni. Questo è visto come l’anticamera della cittadinanza, perché consente di arrivare ai 10 anni di residenza necessari. La particolarità italiana è che, per ottenere la cittadinanza, non è richiesta alcuna attestazione della conoscenza della lingua. In oltre il 90% degli Stati membri del Consiglio d’Europa questo avviene, ma in Italia no.

La legge che ha introdotto l’accordo di integrazione prevede finanziamenti pubblici?
No, questo è uno dei punti deboli della legge, che anzi ha esplicitamente richiesto che ogni azione volta a favorire l’integrazione non dovrà gravare sul bilancio dello Stato. Da questo punto di vista le scuole gestite dal volontariato sono fondamentali, anche per riuscire a intercettare e coinvolgere la cosiddetta «utenza nascosta». Ma ci troviamo di fronte a due altre grandi sfide.
La prima è riuscire a coniugare il requisito linguistico con quello relativo alla cultura civica. Sono aspetti che un po’ cozzano tra loro: l’A2 parlato è un livello medio-basso di competenza della lingua, è il secondo dei sei gradini previsti dal Quadro comune europeo di riferimento, mentre conoscere Costituzione e Carta dei valori abbraccia un livello ben più ampio di competenza, come complessità lessicale e grammaticale, come astrazione di contenuti. Bisognerà offrire corsi che integrano i due aspetti.
La seconda sfida riguarda i limiti di un’offerta formativa che appare ancora lontana dall’essere strutturata. Non esistono linee guida o standard, se non il Quadro comune europeo. Per ora c’è solo un’indicazione, arrivata il 31 gennaio dal ministero dell’Università e della ricerca, che ha consigliato un monte orario di almeno 100 ore per questi corsi. C’è anche poco materiale, spesso è materiale «grigio», cioè prodotto a uso e consumo dell’insegnante. C’è pochissima manualistica: qualche dispensa, ma spesso sono cose datate.

In questi anni ha visto cambiamenti nell’approccio all’apprendimento dell’italiano da parte degli immigrati?
Solo il 10% degli adulti immigrati presenti in Italia è realmente coinvolto in percorsi formativi, quindi la percentuale è ancora bassa. Poi ci sono eccezioni positive: ad esempio per la comunità albanese possiamo dire che l’apprendimento dell’italiano non è più un ostacolo. Un esempio opposto, pur senza generalizzare, è la comunità cinese, che usa pochissimo l’italiano in casa.
Come Università di Perugia, notiamo una crescita esponenziale degli iscritti ai nostri esami di certificazione per i migranti. Nel 2007-2008 erano poco più di mille, adesso sonooltre 5mila. La percentuale dei promossi per il livello A2 è dell’82%.
Stefano Femminis
© FCSF – Popoli