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L'ombra del fondamentalismo islamico sul Sahel
23 maggio 2012
Da Boko Haram in Nigeria agli shabaab in Somalia, da Al Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi) in Algeria ad Ansar Dine in Mali. Negli ultimi mesi i movimenti del radicalismo islamico, attraverso attentati, azioni militari, rapimenti, sono diventati i protagonisti di una nuova stagione della «guerra santa» nel Sahel. Ma quali obiettivi si propongono questi gruppi? Ed esistono connessioni tra essi? «È evidente - osserva Lorenzo Vidino, esperto di islamismo del Politecnico di Zurigo - che tra questi gruppi ci sia una somiglianza dal punto di vista ideologico. Tutti condividono una visione jihadista dell’islam. Ognuno di questi movimenti ha però una propria storia, basata su circostanze locali, e una propria leadership. Per citare una nota espressione direi che sono formazioni che “operano localmente, pensando globalmente”. Per esempio, gli shabaab combattono in Somalia contro etiopi, contingente dell’Unione africana ed esercito del Governo di transizione nazionale, ma collegano questa lotta a quella globale per l’affermazione dell’islam. Lotta nella quale al Qaeda rappresenterebbe, a loro dire, l’unico difensore globale dei musulmani contro l’attacco dell’Occidente e degli infedeli. Ciò poi porta a una collaborazione effettiva con al Qaeda, della quale gli shabaab sono la filiale somala».

Numerosi report delle intelligence statunitensi e africane sostengono che ci sono sempre maggiori collegamenti tra le organizzazioni del radicalismo islamico. Tanto è vero che alcuni analisti paventano la possibilità che al Qaeda si stia riposizionando in Africa dopo gli insuccessi in Afghanistan e in Iraq. «È sempre più ricorrente, in occasione di azioni commesse da un gruppo - continua Vidino -, che un altro gruppo pubblichi comunicati di solidarietà a quelle azioni: gli shabaab che esprimono solidarietà ad Aqmi, Ansar Din che offre il proprio supporto ai “fratelli di Boko Haram”, ecc. Ma c’è anche qualcosa di più concreto dal punto di vista operativo». Si parla infatti di addestratori di Aqmi (che fra tutti i gruppi è quello con maggiore esperienza) che stanno offrendo formazione militare ai miliziani di Boko Haram. Di armi che, partite dagli arsenali di Gheddafi, sono finite in mano di varie milizie del radicalismo attraverso una rete di trafficanti legati ai fondamentalisti. Si dice anche che i jihadisti legati ad al Qaeda controllino la zona di Darna in Libia. Qui ci sarebbero non solo libici, ma anche miliziani provenienti dall’estero e, in particolare, shaabab somali.

Come reagire di fronte a questa offensiva? Le risposte non si sono fatte attendere, anche se non hanno seguito una strategia comune. «Gli algerini - spiega Vidino -, anche grazie alla loro esperienza decennale nel contrasto al terrorismo, hanno portato avanti operazioni molto efficaci di contenimento. Aqmi è così stata confinata a poche regioni nel Sud desertico. Ma l’Algeria è un’eccezione. Paesi quali il Mali, il Niger, il Ciad che non hanno a disposizione forze di sicurezza così efficienti e un assetto politico stabile non riescono a contrastare in modo efficiente la diffusione di queste forze del radicalismo islamico». Proprio per questo motivo  Stati Uniti e Francia, a volte insieme, a volte in modo separato, stanno fornendo finanziamenti, mezzi e addestramento alle forze armate dei Paesi della fascia del Sahel.

Diverse invece le situazioni di Boko Haram e shabaab. Il primo gruppo opera in un solo Paese, la Nigeria, e le sue azioni si inseriscono nell’ambito delle forti tensioni tra la comunità islamica e quella cristiana. «È opinione comune - osserva Vidino - che, per il momento, le autorità nigeriane non abbiano messo in campo le forze necessarie per contrastare questo gruppo. Secondo me hanno sottovalutato il problema. Alcuni dei leader di Boko Haram sono stati addirittura arrestati dalla polizia, ma poco dopo sono stati rilasciati e hanno ripreso a compiere attentati. La Nigeria riuscirà a porre rimedio alla situazione solo se riuscirà a trovare assetti politici stabili che le consentano di varare politiche di sicurezza coerenti».
La Somalia invece è un Paese in guerra da più di vent’anni e il governo non controlla l’intero territorio. La missione dell’Unione africana, che sostiene il debole governo di transizione, ha ottenuto sul campo alcuni importanti successi contro gli shabaab. Questi poi hanno perso il sostegno di molti clan che, inizialmente, li vedevano come portatori di ordine in una situazione di anarchia ma, successivamente, hanno subito il loro rigore nell’applicare la legge islamica.

Ma chi sostiene politicamente e finanziariamente questi movimenti? «Difficile dirlo - conclude Vidino -, andrebbe fatto un discorso specifico per ogni singolo gruppo. Sappiamo che Aqmi ha avuto problemi di carattere finanziario. Sopravvive operando soprattutto nel crimine: trasporto di clandestini e stupefacenti dall’Africa all’Europa; denaro raccolto dalle varie cellule che operano in Occidente; i rapimenti dei turisti occidentali. Boko Haram non si sa con precisione dove trovi i finanziamenti. C’è ancora mistero intorno a questa setta.

Gli shabaab invece dovrebbero finanziarsi attraverso la pirateria nello Stretto di Aden e i contributi raccolti dalla grande diaspora somala sparsa nel mondo. Per quanto riguarda i finanziamenti esterni, più si entra nell’orbita di al Qaeda e più si può contare sul supporto di alcuni grandi finanziatori nel Golfo arabo. Quando si parla di finanziamenti però si entra in una zona “grigia”, in cui è difficile definire con esattezza responsabilità, sostegni, ecc.».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli
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