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La Chiesa in cammino
2 aprile 2013

Tanto le dimissioni di un Papa - le prime da molti secoli - quanto la scelta di un pontefice latinoamericano e gesuita - due prime volte nella storia della Chiesa - sono eventi straordinariamente ricchi di significati: abbiamo cercato di approfondirne alcuni in un ampio servizio speciale nel numero di aprile (anche questa una piccola primizia per Popoli: una selezione del meglio della stampa internazionale dei gesuiti).

Qui ci limitiamo a sottolineare un aspetto: la Chiesa, pur tra ostacoli e cadute, cammina nel mondo. Quella stessa Chiesa spesso descritta e percepita come immobile, impermeabile al rinnovamento e prigioniera delle proprie rigide strutture, nel giro di trenta giorni esatti - quelli che separano le dimissioni di Benedetto XVI dall’elezione di Francesco - offre al mondo il segnale di una vitalità e docilità allo Spirito che, riconosciamolo, ha sorpreso anche molti credenti.
Su questo dinamismo, non casualmente, hanno insistito entrambi i pontefici, rispettivamente nel loro ultimo e primo discorso pubblico. Salutando i fedeli da Castel Gandolfo, il 28 febbraio, Benedetto XVI si è definito un «semplice pellegrino», mentre nell’udienza generale del giorno precedente aveva insistito sul fatto che «la Chiesa è viva». E Francesco, affacciandosi alla loggia di San Pietro il 13 marzo, ha pronunciato parole ormai famose: «Adesso cominciamo questo cammino, vescovo e popolo, questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese».

In cammino verso dove? Osservando i primi giorni di pontificato di papa Bergoglio e consapevoli dell’eredità di papa Ratzinger (che ovviamente va molto oltre la decisione della rinuncia), sembrano almeno due le direzioni che orienteranno questo percorso.

Verso una Chiesa delle Beatitudini. Il celebre discorso di Gesù e, prima ancora, la sua stessa vita ci indicano la via: fatta di povertà (vissuta, prima ancora che predicata, da Francesco), purezza di cuore (e sappiamo quanto la Chiesa ne abbia bisogno), misericordia (un altro termine subito messo al centro dal nuovo Papa), mitezza e umiltà (per esempio nello stile di esercizio dell’autorità o nella «traduzione» pastorale dei principi etici).
Verso una Chiesa più universale. È indubbio che l’elezione di un Papa non europeo rappresenti un epocale mutamento di prospettiva. Dalla sera del 13 marzo la Chiesa non è più immediatamente identificabile con un’«entità» anzitutto europea od occidentale, come impropriamente è avvenuto per secoli, né tantomeno con un’istituzione «romanocentrica». Ciò significa, per il mondo (non solo per i cristiani), una straordinaria apertura mentale, culturale e spirituale, per l’Europa e per l’Occidente uno «scossone» i cui effetti andranno valutati nel tempo. Non si tratta di un universalismo astratto: l’autentica universalità articola e valorizza i contributi delle Chiese locali e apre la possibilità di un più fecondo dialogo con le altre fedi. In uno spirito di collaborazione e collegialità.

Stefano Femminis
Direttore di Popoli

© FCSF – Popoli