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La cooperazione vista da destra
2 aprile 2012
Si autodefiniscono «i fascisti del terzo millennio» e sognano un’Italia «libera, forte, fuori tutela, assolutamente padrona di tutte le energie e tesa verso il suo avvenire». Un Paese, come si legge nel loro programma, «sociale e nazionale, secondo la visione risorgimentale, mazziniana, corridoniana, futurista, dannunziana, gentiliana, pavoliniana e mussoliniana». I membri di CasaPound Italia (Cpi) non fanno mistero delle loro radici culturali e politiche e non rinnegano l’ammirazione per il Ventennio. In particolare per il fascismo «sociale», quello degli esordi, nato da una costola del socialismo, e per quello della Repubblica sociale italiana, con l’affermazione di ideali repubblicani e fascio-comunisti. Anche se Cpi guarda al fascismo solo come un punto di partenza, una sorta di piattaforma dalla quale partire per creare una nuova dimensione politica che rompa gli schemi tradizionali destra-sinistra (cfr box p. 16).
In questa prospettiva sono caduti alcuni tabù classici della destra tradizionale italiana (quella più conservatrice e retriva che predicava la superiorità della razza) e, da alcuni anni, Cpi ha lanciato alcuni progetti di cooperazione internazionale. Ma quali sono gli obiettivi di questi progetti? E su quali ideali si fondano?

FASCISMO E SOLIDARIETÀ
Cpi inizia a progettare iniziative di cooperazione poco dopo la sua nascita nel 2003. «C’è un legame tra le pratiche di solidarietà di Cpi e la sua visione dell’uomo e dello Stato - spiega Daniele Di Nunzio, autore di Dentro e fuori da CasaPound. Capire il fascismo del terzo millennio (Armando Editore, 2011) -. Le iniziative di solidarietà sono mosse dall’idea che bisogna aiutare sia l’individuo in difficoltà sia la sua comunità di appartenenza, poiché per Cpi la cittadinanza si fonda sull’appartenenza nazionale. I diritti dell’uomo sono cioè legati all’appartenenza a una comunità nazionale: l’affermazione della persona non è concepita come un valore universale (ossia come un insieme di diritti valido per ciascun individuo al di là della propria nazionalità), ma come un valore esigibile dal singolo cittadino solo attraverso il rafforzamento della sua comunità di appartenenza. Questo significa che i membri di Cpi non hanno un’avversione a prescindere verso le persone di altre nazionalità ma, piuttosto, pongono la nazionalità italiana come il fattore prioritario per accedere a diritti in Italia. Hanno una visione fortemente nazionalista della solidarietà dentro un popolo e tra i popoli. Sono disposti a fare iniziative di solidarietà in Italia per gli italiani e all’estero per gli stranieri, ma sono contrari a iniziative per immigrati nel nostro Paese».
Nel 2004 nasce così una collaborazione con Popoli Onlus (che non ha nulla a che vedere con la nostra rivista), con la quale Cpi partecipa a un progetto in Birmania a favore delle popolazioni karen. Popoli Onlus condivide con Cpi la stessa visione politica, essendo stata fondata nel 2001 da un gruppo di persone con esperienze politiche nei movimenti di destra.
L’anima del gruppo è Franco Nerozzi, un personaggio singolare. Giornalista freelance (ha lavorato anche per la Rai), si definisce un «soldato libero»: non mercenario, ma guerrigliero al servizio di qualunque causa ritenga giusta.
Negli anni Novanta, Nerozzi finisce a combattere in Birmania a fianco dei karen, in lotta da più di 60 anni contro il regime di Yangon. Dopo un periodo come soldato capisce che può essere più utile alla causa trasportando casse di medicinali. L’impegno solidale non cancella però alcune pagine grigie di cui Nerozzi è stato protagonista. Il fatto più noto è il suo coinvolgimento nel reclutamento di mercenari per un golpe nell’arcipelago delle Comore, per il quale un tribunale italiano lo ha condannato (con patteggiamento) a un anno e dieci mesi.
«La nostra organizzazione - spiega Nerozzi - è nata innanzitutto per sostenere con un aiuto fraterno chi sta peggio di noi. Noi sosteniamo in particolare quei popoli che hanno una forte identità e combattono per difenderla. In un mondo che tende a omologare tutto, facendo scomparire le culture, le tradizioni e le storie, crediamo che sia un valore sostenere le comunità che lottano per mantenere viva la propria identità. Le società multirazziali sono un trucco per abbindolare la gente. Ci danno dei fascisti? A parte che non tutti i nostri soci vengono da esperienze politiche di destra, personalmente credo che il fascismo, purificato da alcuni eccessi, non sia incompatibile con la solidarietà, perché è un’ideologia nata per aiutare le classi più umili. Mi piacerebbe però che non fossimo giudicati con la lente deformante dell’ideologia, ma per quello che facciamo. Per esempio, io non condivido le idee di Gino Strada, ma secondo me fa un ottimo lavoro. Così come noi facciamo molto per le popolazioni karen in Birmania».
Popoli Onlus ha ricostruito gli insediamenti che erano stati distrutti dall’esercito di Yangon nel distretto di Dooplaya, ha creato cliniche e scuole al servizio della popolazione e ha fornito sementi e attrezzi per l’agricoltura, per garantire l’autosufficienza alimentare delle popolazioni. Sul web circola l’accusa che l’organizzazione abbia anche fornito armi all’esercito karen. «Lo smentisco nel modo più assoluto - ribatte Nerozzi -. Non abbiamo mai trafficato in armi né fornito istruzione militare. Certo, i villaggi sono armati. Non potrebbe essere altrimenti, visto che l’esercito birmano cerca costantemente di distruggerli».
La collaborazione con Cpi è molto stretta. «Guardiamo a Cpi - continua Nerozzi - come a uno degli esperimenti più interessanti del panorama politico italiano. Pur avendo le radici ben piantate nella tradizione della destra italiana, non hanno, come noi d’altronde, atteggiamenti razzisti nei confronti di altri popoli, altrimenti non si impegnerebbero in azioni di solidarietà. E il loro è un impegno serio. Molti giovani di Cpi vengono con noi in Birmania. Sono ragazzi che, invece di passare le ferie al mare o in montagna, si impegnano a favore dei karen, un popolo che è un esempio della resistenza all’ordine mondiale che vuole tutti uguali e con un’identità unica».

IMMIGRATO VADE RETRO
Nel 2011, pur continuando a collaborare con Popoli Onlus, Cpi dà vita a una propria Onlus: Solidarité-Identités. «La nostra organizzazione - spiega il presidente Sébastin Magnificat - è nata all’indomani degli sbarchi di Lampedusa, nel tentativo di dare una risposta concreta, realista e non demagogica al problema dell’immigrazione, a fronte del trattamento assurdo e incoerente dei vari partiti politici italiani, egoisti e incongruenti, capaci solamente di gesticolamenti a scopi elettorali, senza nessuna conseguenza sulle ondate migratorie». Una frase un po’ oscura se letta a sé stante, ma che si chiarisce e chiarisce quale sia l’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione, se la si accosta al programma di Cpi. «L’infernale meccanismo immigratorio di massa - si legge sul sito www.casapounditalia.org - è uno dei principali vettori di sradicamento e impoverimento sociale, culturale ed esistenziale a danno di tutte le popolazioni coinvolte, siano esse ospiti o ospitanti. In questo vero e proprio sistema per uccidere i popoli non esistono vincitori, salvo pochi organismi privati, intrisi di pregiudizi ideo­logici o confessionali, e qualche cricca affaristica antinazionale. Gli immigrati, infatti, sono “una risorsa” solo per i partiti progressisti e per le associazioni cattoliche come la Caritas. Lo sono, inoltre, per la Confindustria e per il padronato, primi beneficiari di questa economia neoschiavista e di quell’“esercito industriale di riserva” costituito da sempre nuove masse di diseredati in cerca di lavoro».
Contro la «società multirazzista», Cpi ha proposte precise e radicali: il blocco dei flussi migratori, la sospensione degli Accordi di Schengen e la ratifica di un nuovo trattato «in base a criteri più stringenti dal punto di vista sociale, economico, politico e culturale» (perché «non può esistere, in Europa, un Terzo mondo interno»), il blocco dei fondi destinati alle «associazioni parassitarie che dietro alle politiche d’accoglienza mascherano i propri interessi economici, religiosi o ideologici», l’abolizione dei Centri d’identificazione ed espulsione contestualmente al rimpatrio dei clandestini». Un’impostazione che non lascia spazio a fraintendimenti e che indicherebbe una scarsa propensione alla solidarietà. In realtà è così solo in parte.
«La solidarietà che è alla base delle azioni umanitarie portate avanti da Cpi - osserva Emanuele Toscano, coautore, insieme a Daniele Di Nunzio, di Dentro e fuori da CasaPound - non è da intendersi come strumento di integrazione sociale o mezzo per il raggiungimento della pace civile, quanto piuttosto come il fine di un’azione di intervento che punta a fornire a ciascuno, il più possibile, gli strumenti per autodeterminarsi, sottraendosi al determinismo sociale e politico imposto dalla globalizzazione. In quest’ottica, la solidarietà non è percepita o declinata in termini assistenzialistici. Approccio, quest’ultimo, che nasconde secondo gli attivisti di Cpi impegnati in campagne umanitarie la volontà di mantenere i rapporti di forza da parte dello status quo attraverso relazioni di dipendenza».
«Sotto questo profilo - gli fa eco Daniele Di Nunzio -, le iniziative di solidarietà cattoliche o laiche sono mosse da uno spirito tendenzialmente universalista: il diritto dell’uomo di potersi realizzare e di stare bene è visto come un diritto inalienabile dell’individuo, al di là di qualsiasi distinzione e provenienza. Ad esempio, questo significa che i movimenti laici e quelli cattolici aiutano i poveri al di là della loro nazionalità, ma anche al di là di dove essi vivono. Invece, in estrema sintesi, per i membri di Cpi è preferibile aiutare le persone all’interno della loro comunità di appartenenza: in Italia si aiuteranno gli italiani e in un’altra località si aiuteranno le popolazioni di quel posto».

KAREN, SERBI E BOERI
Solidarité-Identités, dopo aver sostenuto l’iniziativa in Birmania in collaborazione con Popoli Onlus, ha elaborato progetti propri. Il primo è a sostegno dei serbi in Kosovo. «La minoranza serba - spiega Magnificat con un linguaggio assai poco diplomatico - è stata ridotta alla miseria nelle enclavi isolate dallo Stato islamo-mafioso albanese con la complicità internazionale e sotto la tutela di Washington». I volontari, che solo in parte sono militanti di Cpi, hanno organizzato missioni per portare materiale didattico e sportivo, giocattoli e medicinali. Nella primavera del 2011 una delegazione di Cpi e Solidarité-Identités ha poi organizzato una missione in Kenya dove ha visitato alcuni orfanotrofi, offrendo il proprio contributo sotto forma di cibo, libri e medicine (raccolti, come i fondi, presso le proprie sedi in Italia).
Gli interventi in Serbia e in Kosovo paiono però inserirsi in un filone che, di fatto, crea un legame di dipendenza di questi Paesi con i donatori. Un’impostazione che ormai la maggior parte delle Ong italiane tende a rifiutare e che la stessa Cpi, come abbiamo visto, condanna a parole. «In Kenya - ci tiene però a precisare Magnificat - la nostra organizzazione sta valutando la possibilità di avviare rapporti di cooperazione finalizzati alla creazione di laboratori artigianali e di altre microstrutture utili a favorire lo sviluppo economico di queste realtà».
Nel frattempo Cpi, insieme a Solidarité-Identités, sta valutando la possibilità di avviare nuovi progetti in Kosovo e in Sudafrica. Sulle iniziative in quest’ultimo Paese però è nato un equivoco. Quando abbiamo chiesto, via e-mail, quali progetti fossero in previsione, ci è stato risposto (sempre via e-mail): «Come primo progetto [pensiamo di realizzare] una scuola in un villaggio dimenticato dalla comunità internazionale, come tutto il popolo boero del resto». Si poteva supporre quindi che la loro iniziativa si dirigesse verso una comunità boera. I boeri sono la popolazione bianca di origine olandese che, a partire dal XVII secolo ha colonizzato il Sudafrica. Sconfitti dagli inglesi, hanno comunque esercitato un ruolo fondamentale nella storia del Paese fino agli anni Novanta, in particolare tra 1961 e 1994, quando il Sudafrica uscì dal Commonwealth e formò una repubblica indipendente sotto la guida di Hendrik Verwoerd, che organizzò il Paese imponendo un estremo separatismo razziale, in afrikaans, apartheid. In una seconda mail che ci è giunta due giorni dopo il riferimento ai boeri era sparito. Perché? È stato solo un lapsus? O non si vuole accostare il nome di Cpi a una popolazione con un passato controverso?
Enrico Casale
© FCSF – Popoli
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