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La crisi libica e la politica estera miope dell'Occidente
07/11/2014
Dalla morte di Gheddafi il Paese nordafricano è precipitato in una profonda crisi politica e sociale che non solo sta mettendo a rischio la stabilità dell'area, ma sta aprendo le porte al fondamentalismo islamico. Ma la politica estera occidentale sembra distratta da altre priorità. L'editoriale pubblicato sul numero di ottobre di Popoli

In Occidente sembra dominare una visione miope della politica estera. Il vantaggio del breve periodo pare avere sempre la meglio su una prospettiva di lungo termine e, soprattutto, su un progetto fondato sul rispetto dei valori democratici e dei diritti umani. La Libia è uno degli esempi più significativi di quanto stiamo dicendo. Da anni, Usa, Gran Bretagna e Francia (ma anche alcuni Paesi africani e del Golfo) lavoravano per abbattere la dittatura quarantennale di Muammar Gheddafi. Dal 1969 il rais libico aveva creato un regime illiberale che aveva sfidato le potenze occidentali sia in Africa, sia in Europa (ricordiamo il sostegno a formazioni terroristiche quali l’Ira e gli attentati di Berlino e Lockerbie).

Nonostante un recente riavvicinamento a Gran Bretagna e Italia, Gheddafi rimaneva per alcune cancellerie occidentali il nemico da abbattere, anche per mettere le mani sulle ingenti riserve petrolifere libiche. Lo scoppio delle Primavere arabe e le prime proteste contro il regime hanno dato il via anche in Libia a una guerra senza quartiere. Nel 2011, i clan tribali e le milizie islamiche, che negli anni gheddafiani erano stati repressi, hanno preso il sopravvento, sostenuti dai bombardieri europei e statunitensi. Le potenze occidentali hanno così scoperchiato un Vaso di Pandora che non sono più state in grado di richiudere. Le fragili istituzioni libiche nate dopo il crollo del regime non sono riuscite e imporre l’ordine anche perché il monopolio della forza è rimasto nelle mani delle milizie. La Cirenaica, la regione più orientale, è diventata una roccaforte dei gruppi islamici più radicali. Incapaci di trovare il bandolo della matassa, le potenze occidentali hanno dato il loro sostegno alle forze laiche. Con il risultato di spingere le formazioni islamiche moderate a un’alleanza con le milizie integraliste e a un ulteriore inasprimento della guerra, di cui si sono avute dimostrazioni (benché perlopiù ignorate dai nostri media) anche la scorsa estate. Una delle conseguenze più drammatiche è stata la ripresa delle migrazioni verso l’Europa, un business illegale con il quale le stesse milizie si autofinanziano.

Di fronte a questo conflitto, del quale non si intravede una soluzione in tempi brevi, ci si chiede quali principi abbiano guidato la politica estera internazionale. Perché negli anni del regime gheddafiano i governi europei e statunitensi non hanno lavorato per dar vita a una seria opposizione democratica al rais? Perché dopo la morte di Gheddafi non si è cercato di riunire le componenti sane della società libica in una convenzione che definisse un progetto politico-istituzionale per il Paese? Perché l’attenzione delle potenze internazionali si è concentrata solo sugli interessi legati alle risorse petrolifere? Sembra impossibile che le cancellerie occidentali, dopo gli errori commessi in Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia non abbiano saputo prevenire il degenerare di questa crisi e dar vita a un progetto di ampio respiro. Non siamo così ingenui da non sapere che la realpolitik è una caratteristica fondamentale nelle relazioni internazionali, ma la realpolitik, da sola, oltre a minare la credibilità dei Paesi occidentali ne rende sterile la politica estera. E alla fine ci rimettono tutti.
Enrico Casale
© FCSF – Popoli
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