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Samir: "Le manifestazioni in Egitto? Segno di democrazia"
7 dicembre 2012
«La reazione della popolazione, soprattutto dei giovani, al governo del presidente Morsi è un fatto importante perché dice che c’è una larga fetta della popolazione che non vuole che in Egitto si instauri un regime islamico fondamentalista. Che cosa scaturirà da questa protesta? Non sono in grado di dirlo, ma è fondamentale che la protesta ci sia stata, perché è la dimostrazione che c’è voglia di democrazia». Samir Khalil Samir, gesuita egiziano, attento osservatore delle dinamiche politiche del suo Paese, guarda con interesse alla fiammata di proteste antigovernative che stanno agitando il Paese in questi giorni. Le vede come una reazione a un tentativo di mettere la sordina alle istanze di libertà scaturite dalla Primavera araba.

La Fratellanza musulmana sta minacciando il processo democratico in Nord Africa e in Medio Oriente?
La Primavera araba è stato un movimento di giovani senza esperienza politica che rivendicavano libertà e dignità, oltre che lavoro e cibo. Non avevano però alcuna esperienza politica. Le elezioni che si sono tenute in Egitto hanno quindi inevitabilmente portato al potere l’unica struttura politica rimasta, la Fratellanza musulmana. Il risultato a favore dei Fratelli musulmani era quasi scontato. I vecchi partiti erano stati abbattuti. I nuovi erano troppo deboli. Così alle urne hanno dominato, giocando anche sul fatto che il 40% della popolazione è analfabeta e la rete di imam tradizionalisti formati da al-Azhar li ha sostenuti. Il presidente Morsi ha ora concentrato tutti i poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) nelle sue mani e ha fatto votare da un’Assemblea costituzionale nella quale i rappresentanti non islamisti hanno dato le dimissioni, una bozza di costituzione che ha una tendenza fondamentalista.

Chi è sceso in piazza a dimostrare contro il presidente?
Sono soprattutto giovani che non vogliono la creazione di un regime islamico fondamentalista. Questi ragazzi non sono laicisti, ma musulmani che guardano alla religione come un fenomeno importante che però non deve imporsi sulla società. Quando sono scesi in strada lo hanno fatto in modo pacifico, non avevano armi. Il fatto che la protesta sia degenerata in uno scontro è responsabilità degli islamisti arrivati per difendere Morsi, che invece erano armati di molotov, pietre e bastoni.

I manifestanti sono spaccati in molte correnti. Com’è possibile trovare un’intesa tra loro?
In realtà, cristiani, liberali, socialisti e musulmani moderati sono d’accordo: tutti rifiutano l’idea di un islam fondamentalista. Tutti vogliono che si affermi un sistema realmente democratico. Il vero problema è che nel nostro Paese si è persa l’abitudine alla democrazia. Sono sessant’anni che l’Egitto è governato da dittatori e la gente non ha dimestichezza con le armi della democrazia. Ci vorrà tempo, ma credo che il Paese riuscirà a completare questa transizione.

Cosa succederà nei prossimi mesi?
Il governo non si dimetterà. Forse addolcirà le sue affermazioni, ma continuerà a governare. La rivoluzione si farà nei fatti. Se il regime islamico saprà migliorare la condizione della gente, eliminando la miseria, allora rimarrà in sella. Se invece non cambierà nulla, la gente non voterà più per loro.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli