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Se la Turchia più islamica apre ai cristiani
11 novembre 2011

In Turchia le comunità religiose non possono acquisire, possedere o affittare alcuna proprietà perché non hanno uno status legale indipendente. Ogni loro attività è svolta da fondazioni, che gestiscono i beni delle comunità religiose. Ora le fondazioni hanno circa un anno di tempo per fare domanda di restituzione dei beni confiscati dallo Stato. È la principale novità del decreto dello scorso agosto, attuato dal 1º ottobre, con cui il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha deciso di ridare un migliaio di immobili ai greci ortodossi e qualche centinaio al altre comunità cristiane minori che per oltre settant’anni sono sopravvissute tra grandi incertezze.
Ma il decreto riguarda solo i beni confiscati nel 1936, quando la repubblica ultralaica di Kemal Atatürk, incamerò le proprietà religiose, comprese quelle delle grandi confraternite musulmane. Inoltre il provvedimento si limita alle minoranze riconosciute dal trattato di Losanna del 1923 (quello che ridisegnò i confini della Turchia indipendente post-ottomana): cristiani armeni, caldei, greco-ortodossi, siriaco-ortodossi, nonché gli ebrei. Il provvedimento esclude le proprietà islamiche e ha suscitato proteste, in particolare tra gli aleviti, la più grande minoranza musulmana. Inoltre non considera cattolici e protestanti che, tra i cristiani, non hanno una radicata presenza storica.
Sempre più spesso lo Stato turco è stato chiamato a rispondere di questa situazione davanti alla Corte europea dei diritti umani e ha subito alcune condanne. Alcuni commentatori fanno notare che se la Turchia vuole rispettare gli impegni, presi a livello internazionale, di riparare alle ingiustizie sofferte da tutte le comunità religiose, non dovrebbe esistere un trattamento differenziato, ma un quadro legale adeguato perché ogni comunità acquisisca una personalità giuridica.
Intanto il decreto vuole essere una risposta, anche se parziale, al problema e il governo ha scavalcato il parlamento per evitare le tensioni che un simile tema può ancora suscitare nel Paese.
«Sono state restituite chiese e altri immobili, addirittura è stato dato un terreno ai cristiani siriaci per costruire una chiesa nuova e questa è una novità assoluta - osserva una nostra fonte in Turchia -. Ma il nodo resta nella identificazione di “etnico” e “religioso”. È forte l’equazione turco = musulmano, mentre il cristiano è visto come straniero, perché la maggior parte dei cristiani hanno origini non turche, ma greche, armene, siriane, ecc.». La conseguenza è che i turchi convertiti incontrano molte difficoltà a essere accettati non solo dai turchi musulmani, ma anche dai cristiani stessi. «Non vengono mai veramente accolti - aggiunge -. Hanno una vita eroica e difficilissima. Quando si tratta di conversioni, emerge sempre l’accusa di proselitismo».
Queste aperture sul fronte religioso si inseriscono nel dinamismo del governo di Erdogan e del suo partito, l’Akp, a livello internazionale. L’Akp cerca di essere un modello per i partiti islamici moderati che si affacciano alla guida dei Paesi della «primavera araba». Durante la sua visita in Egitto a metà settembre, Erdogan è stato accolto quasi fosse il khalifah successore del profeta, titolare di quel califfato che il sultano ottomano incarnò per secoli nel mondo musulmano sunnita. Ma quando ha parlato di «Stato laico con un popolo credente», i musulmani conservatori hanno apprezzato assai meno l’impostazione turca.
«Anche in Turchia ora si tratta di capire come verrà interpretata la laicità nella nuova Costituzione che una commissione ad hoc sta redigendo - continua la nostra fonte -. La Costituzione sarà per forza un compromesso tra Akp e i partiti laicisti che si ispirano ad Atatürk. In base a questo compromesso sarà possibile vedere come le religioni saranno rispettate in un senso laico “giusto”, non imponendo una religione di Stato, ma riconoscendo a tutti il diritto di vivere in libertà».
A questa apertura del governo contribuisce l’influenza del movimento islamico di Fethullah Gülen, che appoggia un nuovo ruolo turco nel mondo musulmano. Il movimento di Gülen è favorevole a una pacifica convivenza delle religioni. Soprattutto intende superare l’esperienza della Turchia laica che impediva per legge anche ai musulmani di costruire moschee e scuole religiose. Il risultato - apparentemente contraddittorio - è di accrescere gli spazi dell’islam nello Stato e di migliorare l’immagine della Turchia all’estero.

 

© FCSF – Popoli