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Vogliono andare in Europa,
li portano in Vietnam
16 aprile 2014
Sempre più profughi che cercano di fuggire da Israele verso l’Europa e l’Australia, vengono dirottati da trafficanti senza scrupoli in Cambogia, Thailandia e Vietnam. A denunciarlo è Alganesh Fessaha, eritrea naturalizzata italiana, responsabile dell’Ong Gandhi, che da sempre si occupa dei flussi migratori che dal Corno d’Africa si dirigono a Nord. «Il fenomeno è ancora limitato, ma sta velocemente prendendo piede - spiega Alganesh - e va bloccato prima che assuma dimensioni incontrollabili».

La nuova rotta è stata «inaugurata» da pochi mesi, subito dopo l’approvazione della nuova legge sull’immigrazione da parte di Israele il 10 dicembre 2013. La normativa prevede l’incarcerazione per un anno per gli immigrati illegali e, al termine della detenzione, il rimpatrio. La legge ha messo in allarme gli stranieri presenti nel Paese. E, in particolar modo, gli eritrei, per i quali il rimpatrio significherebbe ritornare sotto il controllo di un regime particolarmente duro con il rischio di essere deportati in campi di concentramento e di subire torture. Così una cinquantina di loro, in Israele da alcuni anni ma senza permesso di soggiorno, hanno deciso di affidarsi a trafficanti israeliani. Questi hanno promesso agli immigrati (che hanno pagato circa seimila dollari) di portarli in Europa o in Australia. Invece li hanno imbarcanti su voli verso Cambogia, Thailandia e Vietnam. «Se Cambogia e Thailandia li hanno accolti - continua Alganesh -, il Vietnam li ha espulsi e ora si trovano all’aeroporto in attesa di sapere dove possono essere mandati. Io continuo a chiedere ai Paesi occidentali di creare corridoi umanitari che permettano a questi ragazzi di emigrare senza rischi. Ma su questo fronte non succede nulla e i ragazzi continuano non solo a essere ingannati da trafficanti senza scrupoli, ma anche a rischiare la vita».

Intanto dal Corno d’Africa eritrei, somali, etiopi e sudanesi continuano a fuggire. La maggior parte di essi segue la rotta classica che attraverso il Sudan li porta in Libia e poi in Italia. «È una rotta molto battuta - continua Alganesh - e i trafficanti sono perlopiù eritrei in combutta con sudanesi e libici. Moltissimi migranti muoiono nella dura attraversata del deserto. Altri nel tratto di mare tra la Libia e Lampedusa. Non ci sono stime dei morti, ma sono nell’ordine delle migliaia».

Sembra invece arrestarsi il flusso verso il Sinai. A scoraggiare i migranti, più che il muro costruito da Israele al confine con l’Egitto, è il pericolo del rimpatrio e il rischio di cadere nelle mani dei trafficanti beduini. «Negli ultimi mesi - spiega Alganesh - l’esercito egiziano ha condotto operazioni su vasta scala per riportare l’ordine nel Sinai. Al Cairo non interessava reprimere il traffico di esseri umani quanto contenere la minaccia del fondamentalismo islamico. Le operazioni hanno portato al bombardamento di alcune basi dei beduini e all’arresto di molti di essi. Quindi anche il traffico di esseri umani ne ha risentito parecchio. Attualmente non più di una trentina di migranti sono nelle mani dei beduini. Mentre 150 sono nelle carceri egiziane con l’accusa di immigrazione illegale».

Chiuse le porte del Sinai, rischiosa la rotta verso la Libia, i migranti cercano alternative. Piccoli gruppi si stanno spostando dall’Est verso l’Ovest dell’Africa. L’obiettivo è raggiungere la Nigeria e da lì il Sudamerica e poi gli Stati Uniti. «Sono ancora piccoli gruppi - conclude Alganesh -, ma stanno tracciando un nuovo percorso. La disperazione non può essere arginata. Chiusa una rotta, se ne cerca un’altra».

Enrico Casale

 


 

© FCSF – Popoli