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Carta canta
L'«altro» nei periodici italiani
D lo straniero tra noi



































Dopo Io donna del Corriere della Sera, «Carta canta» prosegue analizzando D, un altro supplemento femminile de La Repubblica. Nello specifico sono state considerate le uscite del 31 maggio e del 7 e 14 giugno. La rivista è articolata in 5 macro-sezioni («attualità», «moda», «bellezza», «cucina» e «lavoro») dove testo e immagini, spesso di ottima qualità, sono complementari integrandosi a livello di significato e di disposizione grafica.
La sezione «attualità», che comprende cover story, news, interviste e rubriche d’opinione affidate a firme de La Repubblica, è la parte più corposa della rivista, al cui interno si trova il maggior numero di articoli con riferimenti allo «straniero». Con il 13% di pagine dedicate ai fatti internazionali, rispetto ai femminili finora considerati D si colloca dopo il 19% di Io donna, ma ben oltre il 5% di Vanity Fair.

Il punto di vista adottato è legato all’attualità e le notizie presentate rispondono alle aspettative di un lettore interessato all’«altro», un lettore che guarda allo «straniero» con un atteggiamento di credito e fiducia. Ne è un esempio il servizio Swinging Tirana (31 maggio), da collegare all’esito imminente rispetto alla richiesta dell’Albania di candidarsi per entrare nell’Unione Europea. Il «rinascimento albanese» è qui raccontato attraverso la voce dei suoi protagonisti: dall’emigrato di ritorno al conduttore di un noto talk show politico che considera l’ingresso nell’Ue «un grosso malinteso», passando per l’imprenditore italiano proprietario di un call center con sede a Tirana. Ne esce un quadro complesso dove, accanto alla corruzione e alla criminalità, emergono anche i «germogli di una società civile che inizia a farsi sentire». È il caso della manifestazione che «a novembre ha convinto [il nuovo premier] Edi Rama a negare all’alleato americano la richiesta di accogliere le armi chimiche siriane».

Nella cover story del 14 giugno, L’India che vorrei, il problema della violenza femminile e dell’ingiusto sistema delle caste vengono presentati attraverso le parole di una protagonista d’eccezione: la scrittrice Arundhaty Roy. Benché lontana dalle condizioni di vita della maggior parte dei suoi concittadini, la Roy - «romanziera famosa e saggista di battaglia» - offre al lettore una prospettiva interessante per comprendere la società indiana. Si tratta infatti di un punto di vista critico interno che è ben consapevole dei paradossi sociali e culturali che attraversano l’India. Un Paese che «vive in molti secoli simultaneamente, così qui trovano voce alcune tra le donne più potenti e riconosciute del mondo, persone libere come me […] e allo stesso tempo un enorme numero di donne incontra un destino tragico».

In Silicon Lady (14 giugno) lo «straniero» è considerato già integrato nella parte più ricca della società occidentale, all’interno della quale sembra essersi ritagliato uno spazio di rilievo, sposandone in pieno i principi. Come accade alle ragazze della Silicon Valley che «dirigono business multimilionari ma trovano il tempo anche per volontariato e raccolte fondi per le più varie cause», in un mix di affari e beneficenza in cui l’affermazione di sé sembra avere un’importanza non secondaria. Bita Daryabary, una delle donne più influenti della Valley afferma, a commento di una sfilata Chanel organizzata a casa sua: «Un sogno che si è avverato per me, che da ragazzina in Iran mi cucivo i vestiti da sola. Un’ottima occasione di beneficenza e d’incontro per tante di noi che apprezzano l’eleganza e la moda come uno strumento in più per esprimere la personalità». Nel complesso, in D i tre punti di vista sull’«altro» sopra evidenziati sembrano rispecchiare lo sguardo frammentato di chi abita una società multietnica.

P. Gelatti e E. Schiocchet


 
© FCSF - Popoli, agosto-settembre 2014