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Deserto, scuola di forza e pazienza

Sono 450 le famiglie beduine - circa 4mila persone - a rischio di espulsione dalla zona C della Cisgiordania. Il capo villaggio dei jabali ci ospita sotto la sua tenda nel deserto di Giuda.

Come mai vi siete stanziati nella zona C, con tutte le problematiche che questo comporta con Israele?
Noi viviamo qui da prima che esistesse la zona C! Il deserto di Giuda è simile a quello del Neghev, la nostra regione d’origine. Nel 1951 siamo stati espulsi da quell’area e così ci siamo trasferiti in una terra - allora era protettorato giordano - che aveva caratteristiche analoghe. Inoltre la vicinanza di Gerusalemme era una garanzia di guadagno: un mercato ideale per i nostri prodotti caseari e di artigianato. I problemi sono cominciati nel 1967, quando Israele ha dichiarato un’ampia fetta di questo territorio zona militare e siamo stati costretti a trasferirci. Poi, negli anni Ottanta e Novanta, sono arrivati i coloni israeliani che progressivamente si sono espansi togliendo sempre più pascoli al nostro bestiame e impedendoci l’accesso alle sorgenti d’acqua. Qua vicino c’è Ma’ale Adumim, la seconda colonia più grande del Paese (circa 40mila persone), che nel 1991 ha ottenuto da Israele lo status di città.

Cosa ha comportato per voi questa difficile convivenza?
Che dodici anni fa avevamo 1.600 capi di bestiame e 125 cammelli, mentre oggi abbiamo 140 capre e neanche un cammello. E da dieci anni non possiamo più continuare il nostro commercio a Gerusalemme a causa del muro. Dunque l’unico modo per lavorare era cercare un impiego nelle colonie o nella zona industriale attigua. Di fatto abbiamo aiutato i coloni a costruire gli insediamenti. So che la cosa appare paradossale, ma che alternativa avevamo? Dovevamo dare da mangiare alle nostre ventidue famiglie, cioè a 170 persone. Dopo il 2009, con la costruzione di una scuola nel nostro villaggio (nella foto), la tensione con i coloni si è acuita e tutti noi abbiamo perso il lavoro. Oggi la maggioranza della mia gente vive al di sotto della soglia di povertà e l’unico aiuto che riceviamo è qualche sacco di farina, zucchero, lenticchie e olio da parte delle Nazioni Unite ogni tre mesi.

Come può una scuola essere motivo di contesa?
Né le autorità israeliane né quelle palestinesi ci hanno fornito un servizio di scuolabus per raggiungere Betania o Gerico. I nostri ragazzi andavano a scuola a piedi ma, dopo la costruzione della strada a scorrimento veloce, cinque nostri bambini sono morti in incidenti e quattro sono rimasti disabili. Qui è proibito costruire e lo zinco delle lamiere rende gli ambienti gelidi d’inverno e roventi d’estate. Bisognava inventarsi una soluzione alternativa. Alcune associazioni, tra cui l’Ong italiana Vento di Terra, ci hanno aiutato e così è nata la nostra scuola di pneumatici riciclati. Questo è il quarto anno che riceviamo un ordine di demolizione e che andiamo avanti e indietro dai tribunali. Per il momento il diritto allo studio dei bambini sta prevalendo sull’ordine di demolizione, che viene rimandato di volta in volta. Abbiamo però subito vari atti vandalici e aggressioni. Ma non molliamo: la scuola è diventata il simbolo della nostra lotta non violenta.

Monica Borsari

 

ABC: UN «PAESE GROVIERA»
La divisione della Cisgiordania (5.600 kmq) in tre zone risale agli accordi di Oslo del 1993. La zona A comprende le città di Betlemme, Gaza, Gerico, Hebron, Jenin, Kalkilya, Nablus, Ramallah e Tulkarem, di cui l’Autorità palestinese ha il controllo sia amministrativo che militare. Nessun israeliano può entrarvi. La zona B è l’area rurale, sottoposta a un regime misto: l’Autorità palestinese gestisce l’amministrazione, mentre Israele la sicurezza (con blocchi stradali e checkpoint).
Il 67% del territorio palestinese è zona C, ossia l’area strategica di sicurezza, che comprende deserto, basi militari e insediamenti collegati con Israele da proprie strade. Qui il controllo è totalmente israeliano.

© FCSF - Popoli, 1 aprile 2013