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Egitto, tra libertà e repressione

L’11 gennaio 2012 si sono concluse in Egitto le elezioni della Camera bassa. Un lungo processo iniziato a novembre con una legge elettorale per l’Assemblea del Popolo (Maglis al-Sha’ab), che prevede tre turni per l’assegnazione di due terzi dei seggi con il sistema di lista su base proporzionale e un terzo dei seggi con collegi uninominali.

La Commissione elettorale egiziana ha annunciato risultati per molti versi sorprendenti. Infatti, se da una parte la vittoria del partito Libertà e giustizia, braccio politico del movimento islamico dei Fratelli musulmani, con 223 seggi su un totale di 498, era ampiamente attesa, dall’altra, i 111 seggi totalizzati dal partito Al Nour, espressione del movimento salafita, formazione radicale favorevole all’introduzione della shari’a nella Costituzione egiziana, si è rivelata una sorpresa anche per molti analisti politici. Una seconda sorpresa è stata la sconfitta dei partiti non islamici e dei movimenti rivoluzionari.

The Revolution Continues Alliance, il più organizzato dei movimenti di protesta, ha mobilitato milioni di cittadini durante le proteste a piazza Tahrir, simbolo della rivoluzione del 25 gennaio 2011, contribuendo in modo determinante all’uscita di scena del deposto regime e del suo leader Hosni Mubarak. Nonostante questo, il movimento ha ottenuto solo 7 seggi alle elezioni. Il principale partito liberale, Al Wafd, ne ha ottenuti 38; il partito Egiziani liberi, fondato da Naguib Sawiris, magnate delle telecomunicazioni con interessi economici anche in Italia, ha ottenuto un modesto pacchetto di 17 seggi.

A questi risultati si è giunti dopo un anno di campagna elettorale molto attiva, in un sistema dei media caratterizzato da un elevato pluralismo (presenza di molte Tv, radio, giornali di diversa proprietà), ma anche da censura da parte delle autorità di transizione (la giunta militare attualmente al governo). I partiti maggiori hanno utilizzato principalmente media privati, controllati da loro stessi, mentre i media pubblici, controllati dallo Stato, hanno completamente fallito nel garantire un equilibrio tra i diversi soggetti in competizione, a causa delle pressioni politiche delle autorità di transizione e anche per via di leggi sui media che non favoriscono pluralismo, obiettività e libertà nell’informazione.

La concessione delle licenze e la censura del contenuto sono i due modi in cui le autorità controllano i media e la libertà di espressione in Egitto. Dal 1981, quando il deposto presidente Hosni Mubarak è salito al potere, nel Paese è in vigore la «legge di emergenza». Una legge (in parte revocata solo dal 25 gennaio 2012) che conferiva al governo, tramite il ministero degli Interni, ampi poteri di limitazione dei diritti fondamentali tra cui: sospensione delle dimostrazioni, censura preventiva di articoli giornalistici, monitoraggio delle comunicazioni personali e detenzione (in carcere) a tempo indeterminato anche in assenza di accusa.

Il caso di censura più recente è stato quello dell’Independent, periodico egiziano che, alla sua prima uscita (dicembre 2011), ha pubblicato un articolo di critica al feldmaresciallo Tantawi, guida della giunta militare al potere. Il secondo numero del mensile non ha mai visto la luce per le pressioni esercitate dalla giunta militare e la possibilità che questa ha di appellarsi alla cosiddetta «legge di emergenza».

Tutto questo spiega come l’Egitto, nell’ultimo rapporto sulla libertà di stampa redatto da Reporter senza frontiere, sia passato dal 127° posto nel 2010 al 166° nel 2011, perdendo 39 posizioni in un solo anno.

Koshin Mohamed Aden

© FCSF - Popoli, 1 marzo 2012