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di Pavia Media Research
Gambia: lo sviluppo senza voci?

Le brochure turistiche lo chiamano «La costa sorridente dell’Africa». Il Gambia è il più piccolo Stato dell’Africa, insinuato nel ventre del Senegal, un territorio di circa 10mila kmq con meno di due milioni di abitanti. Per molti in Nord Europa è diventato una rilevante meta vacanziera, vocazione che ha contribuito allo sviluppo economico del Paese.

Già colonia britannica, nel 1965 diviene indipendente. Nel 1994, tra il malcontento nell’esercito e accuse di corruzione, il presidente in carica, Dawda Jawara, è rovesciato da un golpe militare guidato da Yahya Jammeh (nella foto) che, appena trentenne, è eletto presidente nel 1996. Da allora ha governato ininterrottamente, vincendo tutte le successive consultazioni elettorali e assicurando al suo partito, Aprc, la maggioranza in parlamento.

Nei 18 anni di governo di Jammeh il Gambia ha beneficiato di un certo sviluppo socio-economico e di una innegabile stabilità politica, anche se il Paese resta tra i più poveri del continente.

Agli sforzi per consolidare lo sviluppo sembra non corrispondere però un genuino tentativo di sviluppare un sistema di governance pluralistico e fondato sulla separazione dei poteri, il rispetto dei diritti civili e politici, lo Stato di diritto e il controllo della corruzione. Tali lacune sono state evidenziate da numerosi osservatori internazionali anche nell’ultima tornata elettorale per eleggere il presidente (24 novembre 2011).

Alla vigilia delle elezioni, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ha rinunciato a inviare osservatori elettorali giudicando il contesto pre-elettorale non favorevole a una competizione libera ed equa, per il clima di intimidazione e repressione dell’opposizione, il controllo governativo dei mezzi di comunicazione audiovisivi e la partigianeria delle istituzioni. Le altre due missioni di osservazione elettorale internazionali (Commonwealth e Unione africana), pur giudicando positivamente la condotta delle operazioni di voto, hanno sottolineato le numerose deficienze che hanno caratterizzato il processo elettorale, in primis l’assenza di pari opportunità fra partiti politici, il periodo troppo breve assegnato per le attività di campagna elettorale (11 giorni), il coinvolgimento a sostegno del Presidente uscente degli apparati statali e militari, nonché la sproporzione dei mezzi finanziari fra Jammeh e i due oppositori.

Una critica comune è stata quella relativa ai mezzi di comunicazione. Nonostante le legge prevedesse uguali opportunità di accesso per tutti i candidati, è opinione generale che tale garanzia non abbia realmente dato all’opposizione una visibilità e credibilità mediatica. Come ha affermato un candidato dell’opposizione, Hamat Bah, del Fronte unito, undici giorni non bastano per controbilanciare cinque anni di propaganda da parte del partito al potere. Nel periodo extra-elettorale, infatti, l’opposizione è praticamente assente da tv e radio pubbliche, le sole ad avere copertura nazionale e controllate dal governo. Le radio private si astengono generalmente dalle discussioni politiche, mentre i giornali, spesso più critici verso il governo, hanno una tiratura molto limitata.

Fin dal 1994 diverse organizzazioni attive nel proteggere la libertà di espressione, tra cui il Sindacato dei giornalisti del Gambia, Reporter senza frontiere, la Federazione internazionale della stampa e Freedom House, hanno segnalato una serie di misure repressive contro il sistema dei media e numerosi attacchi e intimidazioni in una crescente tensione tra esecutivo e organi di informazione. Jammeh spesso ha apertamente attaccato la stampa con dichiarazioni critiche verso le prerogative e il ruolo dei giornalisti. In questo contesto, come sostiene Freedom House, «la stampa continua a operare in un’atmosfera di paura causata da pressioni di tipo legale ed extra-legale».

Perciò, pur mostrando una relativa propensione allo sviluppo economico e sociale, il Gambia pare aver ridimensionato la sfera dei diritti, tra cui la libertà di espressione. Per citare Amartya Sen, «nella terribile storia delle carestie mondiali è difficile trovare un caso in cui si sia verificata una carestia in un Paese che avesse una stampa libera e un’opposizione attiva entro un quadro istituzionale democratico». Una prospettiva che il Gambia dovrebbe forse considerare nel proprio cammino verso lo sviluppo. 

Enrico Esposto

© FCSF - Popoli, 1 febbraio 2012