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Carta canta
L'«altro» nei periodici italiani
Guardare le megalopoli per capire il mondo




































È l’Espresso, settimanale di cultura, politica ed economia (14, 21, 28 agosto) il protagonista di questo numero di Carta Canta. Il periodico riserva grande attenzione a quanto accade a livello globale e gli articoli dedicati ai Paesi non occidentali costituiscono quasi il 30% delle pagine, percentuale tra le più alte nei periodici finora esaminati.

In una rivista che fa dell’informazione critica il proprio tratto distintivo, il maggior numero di articoli «internazionali» si riscontra nelle rubriche di approfondimento: «Inchiesta », «Primo piano», «Mondo», «Reportage» e «Una città, uno scrittore». Quest’ultima ci porta a Barcellona (14 agosto), indagata da Javier Cercas anche in termini di apertura-chiusura al nuovo (flussi migratori inclusi); a Gerusalemme raccontata da Abraham Yehoshua (Com’era laica la città santa, 21 agosto); a Roma (e New York), che nelle parole di Jhumpa Lahiri, scrittrice di origine bengalese che da anni vi risiede, diventa metafora della capacità di una società di includere o di escludere (28 agosto 2014). Fin dal titolo questa rubrica ci rivela quello che sembra essere un punto di vista privilegiato dalla rivista: l’attenzione alle metropoli come luogo cruciale e rappresentativo delle dinamiche in atto su scala globale.

Anche i «Reportage» costituiscono un osservatorio sul ruolo delle grandi aggregazioni urbane, proponendo tre criticità e tre modelli distinti di abitare. Dolce vita a Shanghai, testo e foto di Alessandro Gandolfi (21 agosto), racconta «il “lupanare dell’Asia” odiato da Mao», la locomotiva dello sviluppo cinese, la New York d’Oriente, che con i suoi 20 milioni di abitanti contende a Hong Kong la piazza di capitale finanziaria. A Shanghai, «dove comunismo e capitalismo convivono», i nuovi super ricchi cinesi - quota infima della popolazione - vivono nel mito di un successo economico da ostentare e con riferimenti tutti occidentali.
Tokyo video game
, di Giuliano Di Caro, foto di Andrea Frazzetta (28 agosto) ci accompagna in un viaggio nei gei-cen di Tokyo. «Cattedrali di otto piani o angusti tempietti dell’entertainment» i gei-cen - termine derivato dalla contrazione di game center e ormai d’uso comune -, sono una sorta di città virtuale disseminata nella città reale, dove è possibile assumere nuove identità e vivere vite diverse. Mondo parallelo che sembra avere un grande successo in un Paese dove forte è la tensione tra sfera pubblica e privata e dove «la solitudine è sì rispettata, ma sta diventando un problema epocale, quantificato dalle statistiche». E con un forte impatto sulle «nuove generazioni: crollo della natalità, avversione per il matrimonio e per le relazioni sentimentali, isolamento progressivo».
Cosa resterà di Addis Abeba, di Tiziana Panizza Kassahun, foto di Stefano De Luigi (14 agosto), ci porta ad affacciarci sul programma Grand Housing, che si propone di «dare casa al 50% della popolazione che vive negli slum o nelle fatiscenti case governative [...]», ma che per ora ha costretto al trasferimento forzato qualcosa come «tredicimila persone per lo più povere o poverissime». Lo slum era «anche lo spazio delle pratiche solidali, delle alternative alla mancanza di servizi e infrastrutture, [...] lo spazio del riciclo, delle economie informali, delle istituzioni spontanee», uno spazio che l’esperimento di pianificazione urbana sta cancellando senza preoccuparsi degli effetti.

Quanto sta accadendo ad Addis Abeba porta a chiedersi quale sia il ruolo dell’architettura in questo processo e quanto «stretto sia il suo rapporto con la gestione politica, la coesione sociale, la sicurezza alimentare, le pari opportunità, la crescita economica, i diritti umani».



Elvio Schiocchet


 
© FCSF - Popoli, ottobre 2014