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Il crowdfunding cresce. Anche in Italia

Solo nel nostro Paese ci sono più di 40 piattaforme di crowdfunding, tra quelle attive o in fase di lancio, cui si devono aggiungere le esperienze «private», in cui soggetti protagonisti di proposte di raccolta fondi partecipata utilizzano uno spazio e strumenti online propri. Cos’è il crowdfunding ormai dovrebbe essere chiaro: in sostanza, invitare un pubblico ampio, tipicamente via internet, a finanziare un progetto.

La tipologia che in Italia è già operativamente regolamentata, nientemeno che dalla Consob, è quella dell’equity-based, con tanto di registro dei gestori di portali «autorizzati». L’equity based è una delle quattro tipologie di crowdfunding e prevede che chi finanzia un progetto ne diventi proprietario pro-quota: in pratica azionista. È un modello che incorpora il rischio imprenditoriale per chi investe, ed è normalmente scelto dalle start up innovative.

Le piattaforme accreditate dalla Consob al momento in cui si scrive sono due: www.starsup.it e www.unicaseed.it, con basi rispettivamente a Livorno e Genova. In tutto si può investire su un totale di due start up innovative, una per ognuno dei due operatori. Intanto, per i potenziali investitori, la Consob ha realizzato la presentazione Cosa devi assolutamente sapere prima di investire in una «start-up innovativa» tramite portali on-line, disponibile in una sezione dedicata del suo sito www.consob.it.

Le altre tre tipologie di crowdfunding sono donation, reward e lending based.

La prima, donation based, sollecita il pubblico a sostenere economicamente un progetto per il puro fine di vederlo realizzato. Un esempio è www.shinynote.com. In generale, si fa leva su motivazioni ideali, valoriali, e anche di prossimità: una parrocchia potrebbe attivare una campagna di crowdfunding di questo tipo per ristrutturare la sala del teatro, e la comunità potrebbe voler aderire per il beneficio futuro di vedere finalmente una programmazione per bambini.

Il modello reward based prevede che chi propone un progetto studi una serie di premi, ricompense, servizi, riconoscimenti legati al prodotto o servizio che sarà sviluppato se la campagna di raccolta avrà successo. Un esempio è www.eppela.com. Il campionario di riconoscimenti per chi contribuisce è il più vario e va dalla semplice email di ringraziamento alla spedizione di una versione personalizzata del prodotto finanziato in caso di successo, con dedica stampata sulla prima tiratura o produzione.

Il modello lending based è fondato sul prestito: chi raccoglie i fondi si impegna a restituirli riconoscendo un certo tasso di interesse e a rispettare determinati tempi. Anche in questo caso, come per l’equity based, la società che gestisce la piattaforma deve avere avuto il via libera nel rispetto di leggi e regolamenti di organismi come la Banca d’Italia, trattandosi in qualche modo di sollecitazione del pubblico risparmio. Ne sa qualcosa www.smartika.it, nata dall’esperienza di Zopa Italia (era il 2007), fermata appunto dalla Banca d’Italia forse per un complesso normativo che allora non era ancora capace di inquadrare con certezza questo modello innovativo. Con Smartika chi chiede prestiti lo fa per i motivi più disparati; chi li offre stabilisce la somma da prestare, il rendimento desiderato e la durata del prestito, specificando anche il livello di rischio. Il rischio è ridotto per via del fatto che la somma viene suddivisa in piccole parti fra tutti i richiedenti che offrono quel rendimento, tempo di restituzione e livello di rischio scelto dal prestatore.

I numeri sono interessanti. I progetti pubblicati alla fine del 2013 erano oltre 15mila, di cui circa il 50% ha avuto successo nei casi di piattaforme lending e donation based, mentre per il reward based si viaggia intorno al 25% (cfr il sito di Twintangibles e il rapporto Analisi delle piattaforme italiane di crowdfunding, promosso da Italian Crowdfunding Network). Interessanti fenomeni di successo si sono verificati in caso di campagne dette Diy («do it yourself»), cioè fatte da soli, partite dall’iniziativa di un privato, una persona comune, che ha lanciato un’idea e raccolto addirittura più dei fondi di cui aveva bisogno per realizzarla. Un’idea per maestra e parroco.

In un panorama in cui la crescita di piattaforme è stata decisamente superiore a quella della capacità di concepire e preparare un progetto in ottica crowdfunding, e in cui la maggiore attenzione del pubblico va verso il lending based perché immediatamente riconducibile a un investimento a basso rischio e foriero di rendita finanziaria, è interessante notare come i segnali di vitalità vengano dall’investimento locale e dalle piattaforme di nicchia.

Sono proprio questi microfenomeni locali o verticali a stimolare il nostro interesse. Se il crowdfunding entrasse nella cultura degli italiani come un nuovo strumento per promuovere socialità, cultura, salute, senso civico, arte e altro, allora si potrebbe pensare che comunità locali o comunità di interessi ne diventeranno piccoli grandi protagonisti.

In attesa di vedere casi di successo di comunità locali quali biblioteche, comitati o parrocchie, uno spunto pratico ce lo offre la nicchia del mondo della scuola. In sofferenza da tempo, la scuola italiana vive dei contributi volontari dei genitori che procurano al corpo docente quanto necessario per le funzioni più essenziali della vita comune. Chiunque abbia figli che frequentano o hanno frequentato recentemente la scuola pubblica avrà contribuito a comprare forniture base come il sapone o avrà partecipato a raccolte fondi più o meno impegnative per favorire l’acquisto di computer, la sistemazione della palestra o della sala teatro, ecc.

Una piattaforma di crowdfunding che ha cercato un posizionamento preciso dedicandosi al mondo della scuola è School Raising (www.progetti.schoolraising.it). I progetti per ora sono pochissimi, ma speriamo di vederne un’impennata. Il primo punto da affrontare è l’approvazione del progetto da parte della scuola. Prendiamo i primi casi che coraggiosamente si sono giocati la partita utilizzando la piattaforma: se non avessero avuto il via libera da parte della scuola nei modi e tempi previsti secondo regolamento d’istituto, non avrebbero potuto essere realizzati, persino se il progetto fosse già stato finanziato online.

Viene da pensare al ruolo della maestra; non serve l’approvazione del Consiglio di istituto per una cosa che riguarda la propria classe: si attiveranno? In un’importante ricerca italiana, a una domanda libera su chi fossero i concorrenti delle piattaforme di crowdfunding, il promotore di una di queste ha risposto: «il prete». Ma è sbagliato vederli come concorrenti, sono piuttosto degli alleati. Se preti - e maestre - ne prendono coscienza, l’alleanza con il crowdfunding d’ora in poi è possibile.

Giovanni Vannini
@giovvan



 

© FCSF - Popoli, 25 marzo 2014