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In cammino, con gusto

I pellegrinaggi nelle terre bibliche promossi dai gesuiti sono una ricca e coinvolgente occasione di crescita personale. Ne parliamo con padre Paolo Bizzeti.

L’offerta di pellegrinaggi in Medio Oriente è ormai ampia e variegata. Cosa caratterizza i vostri itinerari?
Innanzitutto il fatto di radicarsi in una spiritualità ben precisa, quella ignaziana. Il pellegrinaggio, se bene inteso e vissuto, è una potente modalità di evangelizzazione perché contiene diversi ingredienti: l’annuncio della Parola nei suoi luoghi fontali; il cammino fisico e interiore che «spaesa» e aiuta ad andare all’essenziale; il silenzio e la condivisione, entrambi fondamentali per educarci nell’arte dell’ascolto e far crescere la nostra umanità, oltre che la relazione con Dio. Come ricorda papa Francesco, la gioia del Vangelo «ha sempre la dinamica dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare sempre di nuovo, sempre oltre» (EG 21). Ecco, il pellegrinaggio è una semina concentrata e gustosa!

In che senso «gustosa»?
Uno dei tratti distintivi della prospettiva ignaziana è il gustare. Nel pellegrinaggio, l’immergersi nella Parola va di pari passo con l’immergersi in una storia e in una geografia. Questo coinvolge tutte le dimensioni della persona, a partire dai nostri sensi. La Parola gustata e pregata nella sua terra, nella calma, acquista un sapore speciale. Inoltre, per noi è fondamentale l’incontro con i popoli e le comunità locali. Solo standoci insieme impari a conoscere e a dialogare con l’altro, a gustarne la diversità. Il «gustare l’altro» passa anche attraverso la cucina, la musica, la liturgia.

Si parla infatti di «pietre vive»…
È un punto centrale del nostro cammino. È la logica dell’Incarnazione! Anche qui mi viene da citare papa Francesco quando scrive: «Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste (…) in un costante corpo a corpo» (EG 88). E aggiunge: «la contemplazione che lascia fuori gli altri è un inganno» (281). Come possiamo peregrinare ignorando il grido di tanti cristiani di quelle terre? Pensiamo a chi vive in una prigione a cielo aperto a causa di un muro o sotto le bombe! In Medio Oriente, la culla della nostra fede, i cristiani stanno fuggendo. Un esodo graduale e silenzioso ma che è il più massiccio della storia, nel disinteresse generale. Noi non vogliamo essere complici di tutto questo. Il pellegrinaggio deve essere un’occasione per condividere ed essere solidali.

Il 2014 prevede percorsi in Terra Santa e Turchia, tralasciando Paesi tormentati come Siria e Iraq. È ipotizzabile nei prossimi anni estendere i pellegrinaggi ad altre terre bibliche come Egitto, Giordania, Iran, Libano?
In queste terre ci sono Chiese e luoghi che custodiscono grandi ricchezze spirituali, liturgiche e teologiche. Aldilà del momento storico particolare in cui versano alcuni Paesi, fa bene al cristiano occidentale venire a contatto con la Chiesa copta, maronita, siriana, armena... Spero di portare presto dei pellegrini nella zona del Tur Avdin, nel Sud-Est della Turchia: qui restano le vestigia - alcune tuttora viventi - delle centinaia di bellissimi monasteri e chiese che possono darci un’idea dello splendore della vita monastica siriana.

Sono ormai tanti i pellegrini che hanno fatto esperienza con voi. Ricevete ritorni da loro a distanza di tempo?
Quando abbiamo occasione di ritrovarci, anche a distanza di anni, il racconto di quanto il pellegrinaggio ha messo in moto ci consegna la certezza di non aver camminato invano. Il pellegrinaggio non cambia la nostra fede - anche se per qualcuno accade pure questo -, cambia noi.

Monica Borsari

© FCSF - Popoli, 1 marzo 2014