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Italia, rifugio da evitare

Nel corso del 2012 si sta registrando un consistente calo di richiedenti asilo nel nostro Paese. Durante un’audizione in Parlamento, il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, ha confermato che le domande presentate sono poco più di 8mila a fronte delle oltre 62mila dello scorso anno.

Eppure gravi crisi umanitarie continuano a far scappare persone dall’Africa e dal Medio Oriente: basti pensare alle oltre 300mila persone che sono fuggite dalla Siria dall’inizio del conflitto nel 2011.

Dove vanno i rifugiati? Quasi sempre in Paesi vicini al proprio, mentre in pochi raggiungono l’Italia e l’Europa. Le ragioni sono sostanzialmente due. La prima è che le vie di accesso al nostro Paese sono ancora proibitive: in particolare dalla Libia è difficile raggiungere le nostre coste. Nonostante la caduta del regime di Gheddafi, le condizioni di vita per i migranti diretti in Europa sono drammatiche. Continuano i racconti di detenzioni irregolari, violenze in carcere, soprusi verso persone che pure scappano da guerre e conflitti. Il governo italiano ha stipulato accordi con la Libia che privilegiano la fermezza in materia di controllo delle frontiere rispetto alla tutela dei diritti di chi fugge. Non sono veri e propri respingimenti, ma gli effetti sono praticamente gli stessi.

Il secondo motivo del basso numero di richieste di asilo in Italia sono le pessime condizione di accoglienza che il sistema italiano è in grado di offrire.

Basti pensare che, in una qualsiasi grande città italiana, una famiglia con bambini, anche molto piccoli, può aspettare mesi prima di ricevere un posto in accoglienza. Che ancora oggi sono innumerevoli le occupazioni irregolari di stabili da parte di persone che hanno ricevuto una protezione internazionale. O anche che, qualunque sia il titolo di studio conseguito da un rifugiato nel proprio Paese, in Italia deve ricominciare dalla scuola media.

Per non dire delle inefficienze burocratiche che rendono la procedura legale una gimcana complicatissima anche per le cose più semplici, come la consegna del permesso di soggiorno.

I rifugiati da sempre scappano dalla guerra. Da qualche tempo stanno alla larga anche dai Paesi dove comprendono di non essere trattati come persone che hanno subito traumi e violenze. Tra questi, ormai, anche l’Italia.


Fondazione Astalli

 

IL COSTO UMANO DEL COMFLITTO IN LIBIA
Il conflitto libico - iniziato a febbraio del 2011 e conclusosi otto mesi dopo con la morte di Gheddafi e la dichiarazione di liberazione da parte del Consiglio di transizione - ha provocato un massiccio spostamento della popolazione civile. Secondo l’Acnur (2012 Unchr Country Operations Profile - Libya), i pesanti combattimenti hanno accresciuto il numero degli sfollati interni soprattutto nelle aree costiere e nella regione montuosa di Nafusa. Da febbraio 2011 più di 900mila persone hanno lasciato la Libia, per la maggior parte cittadini di Paesi terzi (lavoratori immigrati perlopiù dal Corno d’Africa e dal Sahel), ma sono fuggiti anche più di 660mila cittadini libici. Sono invece 200mila gli sfollati interni.
La Libia è parte della Convenzione del 1969 siglata dall’Organazzione dell’Unione africana (Oua) dedicata ad «Aspetti specifici del problema dei rifugiati in Africa», ma non figura tra gli Stati firmatari della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati (1951). Nel Paese non esiste una specifica legislazione sull’asilo, né sono presenti strutture amministrative competenti in materia.


© FCSF - Popoli, 1 novembre 2012