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di Pavia Media Research
L'"autunno" mediatico delle tunisine in politica

L’estate appena trascorsa ha riportato nell’agenda delle news internazionali le donne tunisine: il 13 agosto sono scese in piazza numerose per protestare contro l’intenzione dell’Assemblea costituente di introdurre il concetto di «complementarità» - invece che di uguaglianza - della donna rispetto all’uomo nella nuova Costituzione. Qualche mese prima, al Global Summit of Women di Istanbul (5-7 maggio), alcune associazioni femministe del Paese denunciavano un processo di retrocessione dei diritti acquisiti. «La poligamia in Tunisia è stata abolita da più di 50 anni, ma ora si è tornato a parlarne - dichiarava a Istanbul la presidente dell’Associazione tunisina delle donne democratiche -. I matrimoni tradizionali, il modo in cui le donne vestono, le limitazioni alla libertà di scelta in caso di aborto, persino la circoncisione femminile, che non abbiamo mai avuto prima, si stanno rimettendo in discussione». La vittoria del partito di ispirazione islamica Ennahda alle elezioni per la Costituente dell’ottobre 2011, ha favorito uno scontro fra la tradizione islamica (o presunta tale) e la modernità, seminata da Bourguiba (presidente dal 1956 al 1987) e coltivata con fatica dalle associazioni femministe nel periodo di Ben Ali (1987-2011), il tutto a svantaggio delle donne e dei loro diritti.

Un anno fa l’elettorato tunisino si avviava alle urne con una grande speranza e un’opportunità per le donne, candidate in misura paritaria agli uomini, grazie a una legge elettorale fra le più avanzate al mondo che prevedeva la parità di genere e l’alternanza dei due sessi nelle liste. Tuttavia, le elette sono state solo il 27%: una riduzione dovuta a un limite del decreto elettorale che prevedeva l’alternanza fra un uomo e una donna nelle liste, ma non tra i capolista. Nel 93% dei casi in cima ai candidati figurava un uomo e, poiché sono state numerose le elezioni del solo capolista,  le donne sono risultate sfavorite. In particolare sono risultate penalizzate le donne appartenenti ai partiti più progressisti: la maggior parte delle elette (40 su 59 totali) rappresenta infatti Ennahda, il partito che ha avuto il più ampio consenso complessivo (40%) e che, più degli altri, ora è decisivo nel dibattito sui contenuti della Costituzione.

Dal punto di vista mediatico e del ruolo fondamentale che i media possono giocare nell’empowerment femminile, veicolandone volti, voci, temi e valori, le donne politiche tunisine non hanno goduto di alcun vantaggio durante la campagna elettorale per la Costituente. In assenza di leggi o normative specificamente volte a sostenere la visibilità femminile, storicamente adombrata dalla più ampia rappresentanza maschile (come dimostrano importanti studi internazionali, quali il Global Media Monitoring Project), le tunisine hanno ottenuto una copertura mediamente pari soltanto al 10%.
Secondo i risultati del monitoraggio dell’Instance supérieure indépendante pour les élections (realizzato con l’assistenza tecnica dell’Osservatorio di Pavia) - la Tv ha riservato alle donne il 9,9% dello spazio della campagna elettorale, la radio il 9,6%, la stampa il 7,9%. L’unica donna inclusa nella top ten dei politici più in vista sui media tradizionali è Maya Jribi, segretaria del Partito democratico progressista, risultata sesta tra i politici più presenti nelle televisioni, quarta alla radio e decima sulla stampa, dove è preceduta di cinque posizioni dal compagno di partito nonché ex segretario Ahmed Néjib Chebbi. Questi ha goduto di un vantaggio di visibilità sulla stampa dove - in assenza di spazi di dibattito incentrati sulla competizione elettorale o programmi ufficiali di campagna elettorale - hanno prevalso nettamente i meccanismi del newsmaking più tradizionali.

Nei primi posti, dopo il leader di Ennahda, Rashid Ghannushi, figurano il presidente della squadra di calcio Club africain, che ha fatto notizia anche per via del suo ruolo sportivo, i leader di importanti partiti, nonché politici di vecchia data ritornati alla ribalta, dopo un periodo di esilio o di esclusione, personaggi che hanno goduto del vantaggio di una fama precedente alla campagna elettorale, sulla stampa, ma anche in radio e in Tv, dove i volti più «mediatizzati» sono stati o leader di partito o personaggi già noti per ragioni diverse dalla loro militanza politica.

Monia Azzalini

© FCSF - Popoli, 1 ottobre 2012