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Pedalando verso il «giardino di Dio»

 

I pellegrinaggi regalano sempre una pluralità di incontri: qui raccontiamo quello avvenuto a Gerusalemme con Paolo la scorsa estate. Architetto modenese di 48 anni, interessato al dialogo interreligioso e appassionato di bicicletta, Paolo (nella foto) nel 2010 ha compiuto il percorso in bici da Bologna.

Da solo in bici verso la Città Santa: un pellegrinaggio, un voto, una sfida?
Decisamente un pellegrinaggio: l’idea era maturata nel 2005, dopo essere stato a Santiago di Compostela, ma la decisione definitiva è arrivata dopo la scomparsa di mio padre. Sentivo che la «salita» a Gerusalemme ci avrebbe messo in una comunione più profonda. Inoltre, il mio voleva essere un gesto di gratitudine per i doni ricevuti da Dio tramite mio papà. Un pellegrinaggio in solitaria con la bici può essere un’impresa al limite delle proprie capacità psico-fisiche, ma è anche un’ottima occasione per vivere l’essenziale. Consapevole delle difficoltà, ho cercato di prepararmi bene, ma ancor più di affidarmi a Dio.

Come si svolgeva la tua giornata tipo?
Ho cercato di mantenere una media giornaliera di circa 100 chilometri (il totale è di 3.600), ma le variabili sono state tante: già la prima tappa è stata segnata da una rottura della bici. Così ho capito il messaggio: per quanto io ce la mettessi tutta, alla fine la tappa la raggiungevo solo per grazia, come regalo da Dio. La vera sfida è stata avere piena fiducia in Lui! Ogni tappa la dedicavo a una persona: questo mi aiutava a stare concentrato nella preghiera. Alla fine è stato come aver infilato i grani di un rosario...

Quali le difficoltà maggiori?
Direi le interminabili salite nei Paesi montuosi e la calura insopportabile nelle zone semi-desertiche. Anche se forse il rischio maggiore per un ciclista è il traffico caotico delle grandi città come Atene e Aleppo! Poi, gli inevitabili problemi meccanici, le buche, i camion che ti sfiorano, il rischio di perdersi, i temibili sciacalli del deserto che ti arrivano alle calcagna... In pratica in bici si è come nudi, senza nessuna difesa. Ma la certezza di non essere solo mi ha aiutato. I veri pericoli sono dentro di noi: le paure che ci paralizzano e alimentano l’ansia!

Quali, invece, i momenti più suggestivi?
Tra i tanti, ne scelgo due. Il primo in un villaggio della Siria: cercavo alloggio e mi ha accolto una famiglia in cui i figli parlavano inglese. Mi hanno dato da mangiare e poi hanno chiamato tutti gli uomini del villaggio per darmi il benvenuto. Siamo rimasti a chiacchierare fino a tarda notte. Nonostante le diverse culture e religioni, è stato un momento di fraternità universale! Il secondo ricordo è quando dai monti giordani stavo scendendo verso Israele. A un certo punto ho potuto intravedere la famosa Valle del Giordano. Non credevo ai miei occhi: un sogno si realizzava. La Terra promessa, il «giardino di Dio»! Mi è venuto da piangere.

Questa esperienza che traccia ha lasciato dentro di te?
Ha fatto nascere un’infinita gratitudine verso Dio. Le tante difficoltà sono state compensate da doni ancora più grandi. Ad esempio, ad Aleppo il Signore ha sciolto dentro di me un nodo doloroso: mi ha dato la forza di scrivere una lettera di perdono e riconciliazione a una persona a me molto cara. Avevo lasciato entrare Gesù nelle mie ferite. Inoltre, devo ammettere che il pellegrinaggio mi ha disintossicato da tante mie cattive abitudini. Gustavo più in profondità. La vita riacquistava sapore.


Monica Borsari

© FCSF - Popoli, 1 novembre 2012