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Traduzione simultanea

Cosa significa comunicare in campo sociale? In sintonia con il Jsn, in questi anni Popoli ha cercato di dare voce a chi non l'ha.

Nel nostro immaginario la comunicazione richiama immediatamente gli strumenti (il telefono), i mass media o i più moderni social network. Ma la comunicazione è prima di tutto lo strumento che ci permette di rapportarci con il mondo esterno, un passaggio essenziale nello sviluppo di un bambino. Comunicare significa prima di tutto dire a qualcuno che esistiamo, che siamo vivi…

Chi vive nella marginalità, nelle diverse situazioni che attraversano in modo sempre maggiore le nostre città, molto spesso non ha la possibilità di comunicare. I rifugiati divengono invasori, i rom ladri, gli immigrati clandestini, i senza dimora un pericolo pubblico, i carcerati condannati, i poveri semplicemente dei fannulloni, e si potrebbe proseguire. Ma in nessuna occasione - o meglio in rare occasioni, spesso riservate agli «addetti ai lavori» - qualcuno di loro ha la possibilità di raccontare la propria versione dei fatti, il suo modo di vedere e vivere le nostre città e la nostra società. Forse quello che questi soggetti avrebbero da dire non sarebbe solo un elenco di bisogni, ma qualcosa che, nella fragilità delle loro condizioni, ci interroga e in cui ci riconosciamo. Come vede la nostra società un giovane sfuggito dalla guerra e approdato in Italia in uno dei tanti porti del Sud e poi trasferito in una località a lui del tutto sconosciuta? O come appare la mia città agli occhi di chi la frequenta da emarginato, seminascosto? Frammenti che si scoprono e si relazionano, ricomponendosi e dialogando (con tutti i limiti legati alle condizioni). Papa Francesco indica una strada possibile proprio a partire dall’incontro, dall’ascolto e dal farsi carico della realtà che ci circonda, ma serve che non nascondiamo le sue aree più marginali e escluse.

La comunicazione nel campo sociale ha molte sfaccettature e valenze. È denuncia e analisi, è raccolta di consenso e a volte semplice fundraising. Ma come rete della attività sociali dei gesuiti in Italia crediamo fermamente sia prima di tutto dare voce a chi non l’ha. Essere traduttori simultanei di chi quotidianamente incontriamo e accompagniamo sul campo. Perché, appunto, dare voce significa dare vita e quindi dignità alle persone e alle situazioni che le vicende della vita e la società tendono a escludere e mettere in zone d’ombra condannate al loro destino di «soccorsi» dalla buona volontà di qualcuno. Perché comunicare significa mettere in relazione e la relazione è di per sé generatrice di cambiamento. Perché la sofferenza, nella sua tragicità e inevitabilità, è acceleratore di cambiamento.

In questi anni Popoli ha accettato questa sfida e ha dato spazio, nella sua linea editoriale, a questa dimensione, anche con tre rubriche fisse, questa nella quale scriviamo, quella dedicata al Magis e quella dedicata al Centro Astalli. Tre pagine in cui dare la possibilità di raccontare non tanto ciò che si fa, ma brevi traduzioni di contesti, storie e situazioni in cui operiamo e che sono al margine. «Periferie creative» titolava la rubrica del numero di agosto-settembre, a indicare una profezia che trova origine proprio in quelle periferie che per noi sono considerate off limits, da delimitare con muri. Abbattere questi muri è compito di un modo di comunicare coraggioso e innovativo di cui siamo riconoscenti a Popoli e che crediamo costituisca un segno lanciato in avanti, che speriamo qualcuno possa raccogliere.

Oltre ad essere un ringraziamento alla Redazione di Popoli e alle persone che hanno collaborato con noi in questi anni, questa ultima rubrica vuole lanciare una provocazione nel mondo della comunicazione che diviene ogni giorno più rapido e «immediato», ma diviene anche sempre più esclusivo anziché inclusivo. Una riflessione che lasciamo a chi si occupa di comunicazione in modo professionale, così come l’abbiamo fatto a suo tempo con la redazione di Popoli. Grazie.


Daniele Frigeri
Segretario generale Jsn

 

© FCSF - Popoli, 1 novembre 2014