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Una moneta che connette

Il sistema finanziario ha creato la crisi, tradendo la funzione fondamentale della moneta: fare da puro intermediario. Ma la rete e le persone possono ricostruire l’economia.

Qual è il problema con il dentista del figlio o con il tecnico della lavatrice? Mancano i soldi per pagarlo. Perché? C’è la crisi. La crisi, in estrema sintesi, nasce dalla finanza, che ha trasformato la moneta, o meglio i crediti, in titoli trattabili sul mercato secondo principi di massimizzazione del profitto (speculazione). È il «tradimento perfetto» della funzione della moneta, che ha smesso di essere un veicolo neutro di scambio di valore.

La finanza ha operato in un certo senso un esproprio di funzione (facilitare gli scambi) dal mezzo concepito per svolgerla (la moneta), ma il bisogno di quella funzione resta. Così qualcuno ha trovato nuovi mezzi per risolvere il problema.

In Svizzera, paradiso di banche e banchieri, esiste la Wir Bank (www.wirbank.ch) che lavora con una cosiddetta moneta complementare, il Wir. La moneta complementare è una moneta che circola in modo parallelo a quella ufficiale. Nel 1934 un gruppo di 16 imprenditori di Zurigo - erano anche quelli tempi di crisi - introdusse il Wir. In pratica, si impegnarono reciprocamente a utilizzare questa speciale «moneta» per gli scambi tra loro. Furono gli iniziatori di un modello che oggi coinvolge circa 60mila imprese, tutte svizzere, con effetti anticiclici e ricadute positive sul territorio in termini di distribuzione della ricchezza su dimensione locale e migliore circolazione di beni e servizi.

Funziona in modo semplice ed è parametro di alcuni esperimenti in rete. Le imprese, in gran parte piccole e medie, scelgono di effettuare gli scambi convenendo che una quota del pagamento venga effettuata in Wir. È così che un autoriparatore si fa pagare da un’azienda proprietaria di una flotta di furgoni in parte in Wir, in parte in franchi svizzeri. Poi utilizza i Wir per acquistare abiti da lavoro: la società che glieli vende incassa Wir e li usa per farsi pubblicità in radio, la quale incassa e li usa per acquistare nuove sedie, e così via.

Dal punto di vista dell’economia reale ci sono vincoli, ma due vantaggi sono incontestabili: il Wir fa circolare ricchezza in una certa comunità territoriale e connette, fluidifica, favorisce gli scambi. In sostanza, agevola la moneta a fare la funzione di moneta: interconnettere e agevolare il commercio.

Un po’ come fa BitCoin (www.bitcoin.org), forse il più noto caso di moneta virtuale (non complementare) al mondo. BitCoin è una moneta elettronica, totalmente al di fuori di qualsiasi tipo di sistema regolatorio, ad alto rischio, adottata da pionieri che accettano che la gestione delle transazioni e l’emissione di valuta vengano effettuate collettivamente dalla rete. Un esperimento, ma neanche troppo di nicchia, se si pensa che ad agosto 2013 il valore di beni e servizi pagati in Bitcoin in circolazione era di circa 1,5 miliardi di dollari.

Quello che interessa qui è il tentativo di riconnettere l’economia, di tornare a fornire uno strumento agevole, «puro», agli scambi, di ritrovare il senso vero della moneta. Tentativo che in Italia sta facendo Aiutamundi (cfr anche il numero precedente di Popoli). Esperienza tutta italiana, promossa da Goel Gruppo Cooperativo (www.goel.coop), ha trovato casa nella Locride. Aiutamundi si propone di consentire a famiglie, associazioni, professionisti, artigiani e imprese di superare i vincoli della mancanza di liquidità connettendo tramite la rete la domanda con l’offerta in un circuito commerciale virtuoso.

Adottato da oltre 400 partecipanti, funziona in modo semplice. Un architetto ha bisogno di una traduzione dall’italiano al russo; incontra il traduttore registrato alla rete e concordano un prezzo; non c’è passaggio di denaro, ma entrambi comunicano ad Aiutamundi il valore pattuito per la transazione, che si trasforma in un debito per l’architetto e in un credito per il traduttore. Il traduttore potrà usare il credito per acquistare altri beni e servizi nel circuito, mentre il debitore ha tempo dodici mesi per ripagare il debito con i suoi prodotti o con il suo lavoro. Se non riesce, allora è chiamato a restituire la parte rimanente del debito in denaro.

Sono casi, quelli di Wir e di Aiutamundi, che nella loro diversità hanno però qualcosa in comune: tornano a favorire gli scambi, a fluidificare l’incontro tra domanda e offerta di beni e servizi, a superare l’idea di una moneta deviata dalla sua funzione fondamentale dalla speculazione. A proposito, la Wir Bank è una vera e propria banca. E non è detto che una banca diversa non si riesca a farla anche in Italia. Forse non sarà la Jak Bank (progetto italiano su modello svedese di banca libera da interessi: www.jakitalia.it), ma qualcosa si muove. 

Giovanni Vannini
@giovvan

© FCSF - Popoli, 01/12/2013