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Una sera al Centro San Saba

Un ospite di un centro per rifugiati a Roma ha trovato lavoro: esito fortunato di un percorso che per molti è una lunga lotta per inserirsi e ridefinire l’identità.


Oggi al Centro c’è qualcosa da festeggiare: Alain (il nome è di fantasia) ha trovato lavoro. Nessuno ci avrebbe scommesso quando arrivò in questo centro di accoglienza ricavato, ventidue anni fa, nel cinema della storica parrocchia romana di San Saba sul piccolo Aventino. Alcuni mesi fa Alain era molto provato: il suo bagaglio era costituito quasi esclusivamente da certificati medici e scatole di medicine. Un classico «caso vulnerabile». «All’inizio tendeva a isolarsi, era piuttosto chiuso - ricorda Riccardo Rocchi, responsabile del Centro -. Ma ben presto si è lasciato coinvolgere e il suo atteggiamento è cambiato radicalmente. Qui al Centro ci sono tante cose che andrebbero migliorate, ma certamente c’è un bel clima».

Cameratismo, solidarietà, condivisione. Disponibilità a sostenersi l’un l’altro, anche quando lingua e cultura sembrano barriere insormontabili. Tutto questo è ben percepibile, anche in questa serata in cui i compagni brindano con Alain al nuovo impiego, in un negozio di sartoria gestito da una signora brasiliana.

Alain parla di questo lavoro come di un’opportunità importante, per lui si apre la speranza di un concreto inserimento nella società che lo ha accolto. È un passo verso quell’autonomia che rappresenta uno degli obiettivi più difficili da raggiungere per una persona che, costretta a lasciare il proprio Paese di origine, si trova a dover ricostruire la propria identità in un luogo nuovo e sconosciuto.

Purtroppo, fra i 37 ospiti del Centro, non molti hanno avuto la fortuna di Alain. Il lavoro resta il tasto più dolente. Alcuni poi, appena usciti da percorsi burocratici lunghi e faticosi, rischiano di ricadere nella disperazione quando comprendono che il permesso di soggiorno per cui hanno tanto lottato non è la soluzione, ma solo il punto di partenza per un nuovo combattimento, ancora più incerto.

«Il contesto in cui lavoriamo è difficile - spiega ancora Rocchi -. Lo sconforto è sempre in agguato. Per questo cerchiamo costantemente di motivare i ragazzi. Siamo felici quando vediamo che, pur in questi spazi un po’ sacrificati, si ritagliano un angolino per studiare. Sei degli ospiti hanno preso il diploma di terza media la scorsa estate. Tre frequentano, con molti sacrifici, la scuola superiore. Due o tre sono riusciti a prendere la patente, anche grazie a un programma di sostegno allo studio che il Centro Astalli porta avanti con l’associazione Prime. Sono piccoli passi, che aiutano anche noi operatori a ritrovare fiducia».

Anche l’edificio, che in tanti anni ha accolto rifugiati da ogni angolo del mondo, comincia a mostrare segni di stanchezza. L’impegno che il Centro Astalli ha preso con Alain e con tutti i suoi compagni è di cercare di ristrutturarlo entro la fine del 2012. E magari anche di ricavare una stanzetta per mettere qualche attrezzo per allenarsi, un piccolo sogno modesto dei giovani ospiti.


Fondazione Astalli
Le foto non si riferiscono ai soggetti descritti nell’articolo

 

UNA PORTA APERTA 24 ORE
Inaugurato per rispondere a un’emergenza nel dicembre 1989, il Centro San Saba accoglie richiedenti asilo e rifugiati. Nel 2010, dopo oltre vent’anni di attività, da dormitorio notturno la struttura si è trasformata in un centro aperto 24 ore al giorno. Un cambiamento importante sia per gli ospiti (tutti uomini), sia per i volontari. In questo modo, infatti, i percorsi di integrazione e di autonomia sono diventati di più facile realizzazione. Avere un luogo che permette loro di partecipare alle attività di formazione organizzate dal Centro, di intraprendere percorsi di studio o, semplicemente, di non essere lasciati soli favorisce la ripresa dal trauma dell’esilio e del viaggio.
Nel corso del 2010 (ma i dati sono analoghi anche per il 2011) il Centro ha ospitato 82 persone provenienti da 19 Paesi diversi, con una netta prevalenza di afghani. Molti di loro sono giovani, oltre il 74% degli ospiti ha meno di 30 anni.

© FCSF - Popoli, 1 gennaio 2012