Cocomeri, fagioli, melanzane, pomodori e altro ancora: dal 2007 a Nguith, nel centro del Senegal, ci sono orti che hanno iniziato a produrre verdure fresche là dove le terre aride consentivano raccolti limitati, solo nel periodo delle piogge, e l’allevamento era l’unica vera risorsa. La nascita degli orti è legata all’intraprendenza di Touty Coundoul, originario della zona, che ha trascorso in Italia metà della sua vita e nei dintorni di Roma si è appassionato all’orticultura, imparando tecniche e tradizioni che ha poi voluto condividere con il villaggio. Primizie fresche e posti di lavoro: benefici dell’emigrazione che non vengono solo dalle rimesse in una piccola storia di sviluppo «dal basso». In questo progetto per fermare siccità e un destino di emigranti, Touty ha investito i suoi risparmi. Ha affrontato i due problemi principali grazie a oltre un chilometro di tubature per portare l’acqua e a recinzioni per tenere lontani dalla ghiotta verdura gli animali dei dintorni. L’impianto di irrigazione negli anni è stato perfezionato con una distribuzione goccia a goccia. Dall’Italia, oltre a qualche nuovo finanziamento, ha portato zucchine e cetrioli che hanno avuto successo. La produzione non sta al passo con la domanda. «Un orto non è un’utopia, ma oggi è nell’ordine delle cose», osserva mentre spiega che nel villaggio è in corso anche un cambiamento culturale. Touty, infatti, organizza incontri gastronomici in cui fa conoscere alcuni prodotti che entrano nella dieta locale. «La gente si fida delle coltivazioni, vede con i propri occhi che i prodotti sono sani». I futuri progressi possono venire da pannelli solari per celle frigorifere che consentirebbero di conservare i raccolti e gestire meglio il commercio, da un bacino artificiale come riserva per la stagione più secca e dalla creazione di un consorzio di agricoltori. L’obiettivo è di coinvolgere più giovani, assicurando un futuro a molti che vorrebbero emigrare. Questi piccoli successi possono essere contagiosi, Touty ne è convinto: «lo sviluppo deve partire da noi».
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Ilenia Piccioni e Antonio Tiso |
Ilenia Piccioni e Antonio Tiso ( www.molo7photoagency.com) sono fotografi freelance e vivono a Roma. Si occupano principalmente di reportage, con progetti di ricerca a medio-lungo termine. Tra i temi che hanno affrontato, la vita dei desplazados in Colombia, la libertà di stampa in Russia e la condizione degli internati negli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia. Considerano la fotografia uno strumento di conoscenza della realtà e un linguaggio con cui raccontarla in modo più intimo e viscerale, «un modo fantastico per sottrarre al decadere del tempo qualcosa che per noi ha valore», dicono del loro lavoro. Collaborano con Ong e Onlus e hanno pubblicato su testate come L’Europeo, Repubblica, Sette, Le Monde, Neue Zürcher Zeitung. Sono autori di La casa blu e le voci assolate (Ed. del Cerro 2007), dedicato a una casa famiglia per adulti di Roma, e hanno esposto e ricevuto premi in Italia e all’estero. |
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