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Egitto, quel "sì" che rafforza i militari
17/01/2014
I dati non sono ancora ufficiali, ma la vittoria del «sì» è data per scontata. Il referendum sulla nuova carta costituzionale egiziana, che si è tenuto martedì e mercoledì, non ha destato sorprese. Almeno nel risultato finale, perché il dato sull’affluenza non era poi così scontato e aver raggiunto il 50% degli aventi diritto è un successo per il governo del Cairo, ma soprattutto per il generale Abdel Fattah al-Sissi, il deus ex machina dell’esecutivo.

«Che il sì abbia vinto con il 95% dei voti, come sostiene il governo, o con il 90%, come sostiene la maggior parte degli osservatori internazionali, ha poca importanza - spiega Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Ispi ed esperto di Egitto -. Il dato significativo è quello della partecipazione al voto. L’esecutivo sostiene che almeno il 50% degli aventi diritto ha espresso la sua preferenza. Se depuriamo questo dato dai possibili brogli arriviamo comunque a un buon 40-42%. Sembra poco, ma è comunque più del 34% registrato nel referendum del dicembre 2012 sulla bozza di Costituzione elaborata dalla Fratellanza musulmana. Ciò rappresenta un successo per l’attuale governo che cercava in questa consultazione un plebiscito a favore della propria azione».

La nuova Costituzione, messa a punto dopo il golpe militare che ha portato alla caduta del presidente islamista Mohammed Morsi, rafforza i poteri del presidente e garantisce all’esercito un margine di manovra più ampio rispetto al passato. «Molti mi chiedono se questa è una costituzione democratica o meno - commenta un religioso cristiano che vive al Cairo e vuole mantenere l’anonimato -, forse non è come una Costituzione occidentale, ma credo che non si possa pretendere tutto in una volta sola. Mi sembra che sia un buon testo, ma migliorabile in molti aspetti. D’altra parte è giusto procedere a piccoli passi in un Paese così complesso come l’Egitto». A favore della costituzione hanno votato i militari, ma anche i liberali, gli attivisti laici e la maggioranza dei cristiani (impauriti da un anno di governo dei Fratelli musulmani che li discriminati).

In ogni caso il referendum ha rafforzato politicamente al-Sissi. «Possiamo interpretare questo voto come un’investitura del generale - continua Dentice -, ma non sono così convinto che sarà lui il prossimo presidente. Al-Sissi ha già un grande potere. È capo di stato maggiore delle forze armate, ministro della Difesa ed è uno dei tre vice premier. Perché dovrebbe mettere a rischio tanto potere scendendo in campo? Se diventasse presidente si troverebbe infatti ad affrontare problemi enormi. Anzitutto in ambito economico: la crisi è fortissima e ben tre governi in passato hanno fallito su questo terreno. Ma anche in campo sociale: il terrorismo sta crescendo e rischia di minacciare pesantemente la stabilità del Paese. Se diventasse presidente e fallisse, probabilmente perderebbe tutta la sua popolarità e la sua influenza».

«Anch’io penso che non sarà il nostro prossimo presidente - osserva Zeidan, un giornalista egiziano - la sfida è grande e il rischio di perderla è enorme. Credo che salirà al potere un ex generale o un politico vicino ai militari. Anche perché un’eventuale vittoria di al-Sissi alle presidenziali porterebbe il caos nel Paese, con scontri, tensioni e ancora sangue nelle strade».

E la Fratellanza musulmana? «La Fratellanza - risponde Dentice - è molto debole. I suoi leader sono stati incarcerati o sono in clandestinità. Le loro attività economiche sono gestite dallo Stato o sono state chiuse o, ancora, sono state fortemente ridimensionate. Il governo ha fatto dei fratelli musulmani il capro espiatorio di tutti i mali del Paese». Non è pensabile un loro rientro sulla scena politica? «Non credo proprio - conclude il religioso cristiano -. Ormai sono una formazione fuorilegge. Il governo li ha dichiarati “terroristi” e credo che per lungo tempo rimarranno emarginati in quella posizione».
Enrico Casale

© FCSF – Popoli