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Finmeccanica, finché c'è guerra...
13 dicembre 2011
«Finché c’è guerra c’è speranza», si intitolava così un film che aveva come protagonista Alberto Sordi. Raccontava di un mercante che vendeva armi alimentando conflitti in Africa. Un film-denuncia girato nel 1974. A quasi 40 anni di distanza il mercato degli armamenti non sembra cambiato di molto. La guerra per molte aziende è ancora una grande opportunità per fare affari. Tra queste società spicca, in ambito italiano, la Finmeccanica. Holding pubblica (il governo italiano è, attraverso il ministero dell’Economia, il principale azionista), è un colosso del comparto armamenti. Secondo il Sipri, istituto di ricerca svedese che ogni anno pubblica un rapporto sul commercio mondiale di armi, è l’ottava azienda al mondo del settore, dal quale ricava circa il 53% del suo fatturato. Gli scandali per corruzione che, a più riprese, hanno investito il gruppo (e hanno portato alle dimissioni del presidente Pier Francesco Guarguaglini e della moglie Marina Grossi, presidente della consociata Selex) non ne hanno fermato l’attivismo. In questi ultimi anni ha infatti piazzato alcuni colpi sul mercato internazionale, attutendo gli effetti della crisi economica internazionale. Alcuni di questi con Paesi in regioni instabili o, addirittura, in guerra.

È il caso della Siria. A partire dal 1998 (con il via libera dei governi Prodi e D’Alema) e poi ancora nel 2009 (governo Berlusconi), Finmeccanica, secondo la Relazione annuale della Presidenza del Consiglio, ha venduto 500 sistemi di puntamento e di controllo tiro Turms, sistemi appositamente realizzati per i T72, carriarmati di fabbricazione sovietica. Quegli stessi carri, osserva Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo, che sono utilizzati dal regime di Bashar al Assad per bombardare la città di Homs, provocando centinaia di vittime, e per reprimere la rivolta nel Paese.

Ma la Siria non è l’unico Paese del Medio Oriente e del Nord Africa con il quale la holding italiana ha fatto affari. Con l’Egitto, che all’inizio dell’anno è stata interessata da una dura repressione dei manifestanti che chiedevano più democrazia (e che poi hanno costretto il presidente Hosni Mubarak alle dimissioni), esiste un rapporto consolidato. Dal 2005 al 2010, il governo italiano ha autorizzato l’esportazione verso l’Egitto di 157 milioni di euro di materiale bellico. A fare la parte del leone è la Finmeccanica che ha venduto sistemi elettronici, ma anche tre elicotteri Aw109 per impiego militare (con un anno di addestramento e assistenza tecnica). Nel 2010 poi l’Italia ha autorizzato la vendita di ulteriori 11 milioni di euro di forniture militari, anche se per il momento è impossibile stabilire quanto di queste siano attribuibili alla Finmeccanica.
Ottimi contratti sono stati firmati anche con la Libia governata da Muammar Gheddafi. Nel 2006 sono stati venduti due elicotteri A109 militari con sei mesi di supporto logistico. L’anno seguente non solo sono stati ammodernati gli elicotteri Ch47 (quelli con due rotori) con 12 nuovi motori, ma sono anche state vendute parti di ricambio dell’obice semovente Palmaria. Nel 2008 sono state vendute forniture per altri otto A109 e per l’Sf260w, aereo da addestramento (utilizzato anche per bombardare), oltre a un Atr42, aereo destinato al controllo del traffico marittimo. Nel 2009 e nel 2010 il mercato libico si amplia ulteriormente. Nel 2009 vengono vendute forniture per gli elicotteri Aw139 e Ch47c (tra le quali visori infrarossi e kit per la corazzatura), ma anche componenti e parti di ricambio per il missile anticarro Milan3. Nel 2010 sono stati venduti pezzi di ricambio per gli obici Palmaria e undici sistemi elettronici di tiro. Il valore complessivo dei soli contratti siglati negli ultimi due anni si aggira sui 150 milioni di euro. Difficile dire quante di queste armi siano state utilizzate nel corso della guerra civile che ha sconvolto la Libia da febbraio a ottobre.

Anche l’instabilità del Corno d’Africa potrebbe trasformarsi in un’opportunità per Finmeccanica. Se le esportazioni in Etiopia ed Eritrea sono ferme alla fine degli anni Novanta, è interessante notare come negli ultimi tre anni siano cresciuti gli affari con il Kenya, che recentemente ha condotto un’azione militare nella Somalia meridionale. Risulta infatti che nel 2008 siano state autorizzate vendite per 21 milioni di euro per ricambi per navi da guerra e formazione di tecnici della Marina keniana. Due anni dopo sono stati autorizzati contratti per 7 milioni di euro per sistemi di tiro elettronici Medusa Mk4b e per i cannoni navali 76/62. Marina keniana che svolge un ruolo fondamentale nel blocco del porto di Chisimaio, strategica via di rifornimento per le milizie islamiche al Shebaab.
Se questi sono gli affari conclusi con Paesi in regioni instabili, Finmeccanica non si è fatta remore a vendere armi anche a nazioni di non certo solida tradizione democratica. Nel 2008 ha venduto alla Turchia gli elicotteri d’attacco Mangusta per un valore di circa un miliardo di euro. L’anno successivo Alenia Aeronautica, insieme alla britannica Bae System, ha firmato un contratto per la cessione di 72 caccia Eurofighter all’Arabia Saudita.
Finché c’è guerra c’è speranza, dunque, ma anche se non c’è, le armi sono sempre un gran bel business.
Enrico Casale

© FCSF – Popoli