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Homs, cronache di un assedio
29 marzo 2012

«Oggi è stata colpita la chiesa greco-ortodossa, vicino alla nostra comunità. La settimana scorsa una bomba è caduta accanto alla nostra casa, mentre ieri un grosso ordigno ha colpito un nostro centro sfondando un muro».  Sono di questo tenore i resoconti che giungono a Popoli.info dalla piccola comunità di gesuiti a Homs, la terza città della Siria, attualmente bersaglio dei bombardamenti più pesanti delle forze governative contro i gruppi ribelli che vogliono la caduta del regime di Bashar al-Assad. Dall’inizio dell’offensiva dell’esercito, il 3 febbraio, i morti sono centinaia e nonostante le promesse di cessate il fuoco i combattimenti non si fermano.
La comunità dei gesuiti vive nel quartiere di Bustan al-Diwan, una zona a maggioranza cristiana, dove i bombardamenti si sono interrotti solo il 27 marzo durante la visita in città di Bashar al-Assad. Insieme ai gesuiti si trovano una quarantina di rifugiati, membri di famiglie cristiane e musulmane che hanno perso le proprie case. «Sono spaventati e restano al chiuso, mentre noi cerchiamo di uscire, soprattutto per procurare cibo, ma è molto rischioso - racconta uno dei padri che ha deciso di non abbandonare la città e che chiede di non essere nominato -. Molti se ne sono andati e le strade intorno a noi sono sempre più deserte».
Gruppi dell’Esercito libero siriano (i ribelli, prevalentemente sunniti), si sono spostati dai quartieri dove ha preso avvio la rivolta, occupando case in altre zone, abbandonate dai tanti che fuggono nei villaggi. Per questo negli ultimi dieci giorni si sono intensificati i bombardamenti sull’area a maggioranza cristiana dove vivono i gesuiti. Non è vero, come è stato riferito nei giorni scorsi da una fonte ortodossa e da alcune agenzie di stampa che poi hanno dovuto rettificare, che ci siano gruppi di estremisti islamici che obbligano con la forza i cristiani a fuggire. Chi riesce ad andarsene lo fa per mettersi in salvo dai bombardamenti o perché ha perso tutto.
«Tutti soffrono per questi bombardamenti - osservano i gesuiti -. Non sarebbe corretto parlare solo della situazione in cui versano i cristiani». Per questo gli aiuti di emergenza disponibili vengono distribuiti anche fra sunniti e alauiti, decisione che ha sollevato qualche critica in altre comunità cristiane, ma è coerente con il lavoro svolto per anni dai gesuiti in questa città, aperto ai cittadini di ogni appartenenza religiosa. Nell’attuale situazione di violenza la loro presenza intende smorzare le tensioni interconfessionali. Non a caso ieri un imam della vicina moschea ha portato del pane per le persone riparate nella casa.
Oltre a svolgere un lavoro pastorale nella parrocchie e di formazione spirituale, in questi anni i gesuiti hanno messo in piedi un progetto agricolo di sviluppo nel settore della viticoltura (Al Ard) e una casa di sostegno per un centinaio di ragazzi handicappati, per favorirne l’inserimento nella società. Si tratta di iniziative interconfessionali. Restare oggi significa aiutare le persone a ricostruire il proprio quartiere, convincendole a non abbandonare per sempre la Siria. «La questione è come riorganizzare la vita delle comunità e ricostruire le tante abitazioni danneggiate - raccontano -. La ricostruzione materiale e spirituale è il nostro impegno, consolare le persone e incoraggiarle a ricominciare, dimostrando che si resta accanto a loro».
Nonostante la propaganda della Tv di Stato che mostra scene di vita normale, la realtà a Homs è ben diversa: per i continui attacchi, le scuole sono chiuse da due mesi ed è sempre più difficile trovare un negozio aperto. «Non se ne può più di uccisioni, di fughe dalla città, di gente che perde il lavoro - osserva uno dei padri -. Non c’è alternativa a un’azione diplomatica efficace per fermare la violenza e le reciproche provocazioni». La Siria intera perde e la sconfitta è di tutti.

Francesco Pistocchini

© FCSF – Popoli