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Homs, un gesuita racconta
22 giugno 2012

Come comunicato nei giorni scorsi, sabato il gesuita italiano Paolo Dall'Oglio, collaboratore di Popoli, è stato costretto a lasciare la Siria. Nel Paese mediorientale, teatro di un conflitto intestino sempre più sanguinoso, restano però altri gesuiti, fonti di preziose notizie e testimonianze sull'evoluzione della crisi. In particolare resiste una piccola comunità ad Homs, una delle città più martoriate. Pubblichiamo di seguito una sintesi della lettera scritta il 16 giugno da uno di questi padri, Ziad Hilal, dal quartiere di Nouzha, distante 900 metri dalla residenza dei gesuiti, e inviata al Provinciale del Prossimo Oriente. La lettera è stata resa pubblica oggi dal Servizio informativo della Curia generalizia dei gesuiti, a Roma.

«Vi scrivo per informarvi della nostra attuale situazione e di quello che stiamo vivendo in questi giorni, durante i quali qui ad Homs gli scontri tra le due fazioni in guerra sono diventati più violenti, in particolare proprio nel nostro quartiere. Da giovedì scorso non ho potuto incontrare padre Frans van der Lugt e ho tentato diverse volte di raggiungerlo con l'aiuto di padre Michel Naaman, ma inutilmente. La situazione è molto delicata e qualunque tentativo di entrare nella città vecchia equivale ad un suicidio. Da giovedì i bombardamenti proseguono senza sosta e la presenza di numerosi cecchini rende impossibile avventurarsi in quella parte della città. Bahjat, il giovane che si trova attualmente con padre Frans, ci ha riferito che il nostro quartiere è in gran parte distrutto, e anche muoversi a piedi è difficile a causa dei cumuli di macerie e detriti per le strade. Negli ultimi giorni sono stati uccisi cinque cristiani, alcuni nelle loro case, altri per la strada (...).  Secondo le statistiche, ci sono ancora 120 persone nel quartiere e 25 nella nostra residenza. Il problema è aiutarli nelle necessità quotidiane, dal momento che non possiamo inviar loro nessun tipo di merce a causa delle strade bloccate.

Nel quartiere di Adawiyye-Nouzha la situazione è migliore, ma anche noi siamo esposti al fuoco incrociato e ai bombardamenti. Tre bambini del nostro centro sono stati feriti e uno dei nostri parrocchiani, Marwan Elias, è rimasto ferito e sottoposto più volte a intervento chirurgico, ma purtroppo è deceduto. Diverse bombe sono cadute nel quartiere attorno alla nostra residenza e hanno distrutto case e negozi. Ieri gli scontri sono stati particolarmente intensi, soprattutto nel pomeriggio e alla sera, e due bombe sono cadute a fianco della nostra casa, per fortuna senza causare danni all'interno.  Anche ieri, dopo aver ricevuto una telefonata della signorina Mirna Kabak dal quartiere di Seba, che mi chiedeva di andare a recuperare quello che restava all'interno della chiesa, mi sono precipitato là e mi sono trovato davanti ad una scena terribile.  La chiesa ha subito danni notevoli, soprattutto al soffitto, all'illuminazione, alle icone e alle vetrate. Mi ha commosso profondamente il pianto dei fedeli quando hanno visto lo stato in cui era stata ridotta la loro chiesa (...). Ho voluto condividere con voi ciò che stiamo vivendo, contando sulle vostre preghiere per padre Frans e per coloro che sono con lui nel quartiere, e anche per noi e per i piccoli dei nostri centri».

© FCSF – Popoli