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I gesuiti mediorientali: contro le violenze in Siria, diritti, unità e pluralismo
6 dicembre 2012

Appena rientrato da un viaggio a Damasco e Homs, Victor Assouad, superiore dei gesuiti del Medio Oriente, riprende alcuni elementi di riflessione già espressi lo scorso anno di fronte alla tragedia della guerra civile in Siria e alla crescente disgregazione delle relazioni tra comunità etniche e religiose.
La capitale è ora teatro degli scontri più violenti. Nel Paese scarseggiano perfino gli alimenti (il pane ad Aleppo sta diventando introvabile). Intanto i gesuiti continuano a impegnarsi nei soccorsi, soprattutto grazie al sostegno del Jrs.
Le immagini che accompagnano l'articolo sono state scattate a Homs, nel quartiere di Boustan Diwan che, dopo sette mesi di combattimenti, ora nelle mani dell’Esercito libero siriano (Els). Il quartiere ha subito mesi di assedio delle forze governative e numerosi bombardamenti dell’aviazione. Oltre a numerose abitazioni civili sono stati distrutti luoghi di culto, tra cui alcune antiche chiese. Circa cinquemila persone (combattenti dell’Els e le loro famiglie) occupano attualmente questa zona della città, tradizionalmente a maggioranza cristiana. Con i pochi cristiani rimasti (80 cristiani) è restato a Boustan Diwan un solo sacerdote, il padre Frans van del Lugt, gesuita di origine olandese, da molti anni missionario in Siria.

«In quanto gesuiti, non cerchiamo di predire il futuro né di prendere posizioni politiche. Al contrario, dobbiamo riaffermare i valori e i principi evangelici e discernere il modo in cui possono esserci d'aiuto oggi. In questo contesto, vorrei sottolineare alcuni punti che mi sembrano importanti:

• Le rivolte che interessano la maggior parte dei nostri Paesi arabi, nonostante tutte le manipolazioni o interpretazioni possibili, almeno in alcuni casi, sono stati ovunque ispirati anche da persone, in particolare giovani, che aspirano a una vera libertà, pluralismo e democrazia. La loro azione va contro la repressione, la corruzione, i privilegi esorbitanti, le evidenti ineguaglianze sociali, la disoccupazione e la povertà generate o autorizzate da regimi dittatoriali diventati ereditari, che usurpano il potere da oltre trenta, quarant'anni o addirittura mezzo secolo.

• I moderni mezzi di comunicazione sociale, utilizzati in questi Paesi per avviare e sostenere le rivolte popolari, costituiscono un fatto senza precedenti che ci fa pensare che non potranno essere spenti o soffocati. Ormai, se vogliamo, è aperta una strada per la denuncia continua, nonostante tutti i tentativi per reprimerla o cancellarla.

• In quanto cristiani, i nostri principi d'azione non possono essere regolati o guidati dalla paura o dalla negazione dell'altro, chiunque esso sia, anche quando questa paura o negazione sia giustificata o realistica. Al contrario, è in uno spirito di apertura, di accoglienza e di rispetto dell'altro che ci dobbiamo porre e agire. La chiusura su se stessi, il rigetto o il rifiuto dell'altro costituiscono una posizione antievangelica che non dobbiamo affatto assumere.

• Tuttavia, i cristiani hanno il diritto e il dovere di esigere delle garanzie per la loro presenza e la loro azione all'interno del mondo musulmano. Essi devono, in quanto cittadini a pieno titolo, richiedere la garanzia di vivere e praticare la loro fede, avere i propri luoghi di culto, così come il riconoscimento della libertà di coscienza.

• Per raggiungere questo obiettivo, i cristiani hanno il dovere di impegnarsi in pieno con i loro concittadini per chiedere il rispetto della dignità di ogni persona umana, l'affermazione delle libertà fondamentali, il rifiuto dei privilegi e la condanna della corruzione, così come una costituzione che riconosca a tutti i cittadini gli stessi diritti e doveri, nel quadro dell'unità nazionale e del pluralismo».

Padre Assouad aggiunge: «Oggi, nonostante il persistere della violenza - in aumento - e nonostante le numerose delusioni riguardo alle aspettative di libertà, democrazia e dignità umana, vogliamo ribadire il nostro impegno di solidarietà verso le vittime e le persone che soffrono, per contribuire ad alleviare il loro dolore e offrire loro la possibilità di rialzarsi. Riaffermiamo il nostro desiderio di impegnarci nel dialogo, la riconciliazione e l'unità, ove questo sia possibile. Rifiutiamo le reazioni di paura e i tentativi d'isolamento, come anche ogni ricorso alla violenza e alle armi, anche se a volte ciò sembri giustificato o legittimo.
Vogliamo unire le nostre energie a quelle delle Chiese locali, per coordinare gli sforzi e assicurare un miglior sostegno alle popolazioni cristiane colpite e preoccupate, in uno spirito di apertura a tutte le parti e cittadini di buona volontà. Riteniamo che, quali che siano le tragedie e le prove che stiamo vivendo, ci sia sempre una via di pace e di vita che può essere intrapresa».

© FCSF – Popoli