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Ieri l'ateismo di Stato, oggi il Papa: l'Albania aspetta Francesco
17/09/2014
Domenica 21 settembre papa Francesco si recherà in Albania, per una visita lampo ma densa di significati. In più il piccolo Paese balcanico presenta un mosaico culturale e religioso particolarmente originale, almeno a livello europeo, con una maggioranza musulmana formata da correnti diverse dell'islam e una presenza di cattolici e ortodossi che è difficile definire «minoranza»; il tutto senza dimenticare le perduranti conseguenze, anche in ambito religioso, di decenni di totalitarismo e di sradicamento della fede. 

In Albania i gesuiti avevano una presenza storica, che ha dato frutti anche attraverso alcuni testimoni e martiri ormai prossimi alla beatificazione (ad esempio i padri Fausti e Dajani). Dopo gli anni bui del regime comunista, i gesuiti sono stati tra i primi religiosi a tornare nel Paese: dal 1991 - su esplicito invito di Giovanni Paolo II - sono presenti a Scutari e a Tirana. Sono perlopiù italiani, poiché l'Albania rientra nella Provincia d'Italia della Compagnia di Gesù. Abbiamo chiesto a due di loro di aiutarci a comprendere meglio il Paese che si prepara ad abbracciare papa Francesco.  
Abbiamo rivolto le stesse domande a padre Mario Imperatori, a Scutari dal 2000 dove è Preside dell'Istituto di Filosofia e Teologia annesso al Seminario, e a Zef Bisha, che vive a Tirana ed è l'unico gesuita di nazionalità albanese. 

La prima e unica visita di un Pontefice in Albania risale ai tempi di Giovanni Paolo II. Era il 1993 e il regime comunista era collassato solo da pochi anni. Come è cambiata l'Albania in questi vent'anni dal punto di vista sociale e politico?
Imperatori - C'è stata una grande mobilità non solo verso l'estero, ma anche all'interno dell'Albania stessa, con una forte aumento della popolazione urbana (Tirana è passata da 200mila a oltre 800mila abitanti) e lo spopolamento delle montagne: un rimescolamento che ha conseguenze anche per la presenza di popolazioni cattoliche in zone tradizionalmente musulmane o ortodosse. C'è stato un notevole miglioramento delle vie di comunicazione, di alcune infrastrutture, ma l'economa non è solida, fondata com'è su un'edilizia dalle basi fragili, sui proventi dell'emigrazione e dei traffici illeciti. Il divario tra ricchi e poveri è enormemente cresciuto, così come quello tra le generazioni, con una perdita di memoria storica da parte delle nuove generazioni. La trasmissione dei valori si fa problematica e il disagio giovanile cresce, come attesta la diffusione del fenomeno della droga. 
Gli indubbi progressi nella legislazione avvengono tuttavia in un contesto in cui pena ancora ad affermarsi la nozione di Stato di diritto a causa dell'effetto negativo combinato di una mentalità clanico-familiare tradizionale e di un passato in cui l'unico attore economico-sociale era lo Stato-Partito. Molto significativo, in proposito, è il fatto che in questi venti anni la legislazione sulla proprietà non abbia volutamente ancora trovato una soluzione legislativa definitiva. A ciò va aggiunta una diffusa corruzione nei settori giudiziario, sanitario e scolastico, che spesso funzionano di fatto secondo una logica rigidamente clanico-familiare e partitico. La politica, opposizione compresa, è per lo più portata avanti dai membri delle stesse famiglie che erano al potere durante il comunismo ed è caratterizzata, al di là di una conflittualità molto personalizzata, da uno stretto intreccio tra politica ed affari (banche ed edilizia): fare politica è non a caso considerato un investimento economico da molti.

Bisha - L’Albania ha avuto la grazia di avere in tempo breve la visita di due pontefici, Giovanni Paolo II e ora Papa Francesco. La visita di Giovanni Paolo II è stato un momento di conferma nella fede vissuta per tanti anni sotto il regime comunista. In questi anni la Chiesa in Albania ha dovuto affrontare i vari cambiamenti sociali e politici, l’invasione dell’Occidente che in modo lento ha modificato usi e costumi globalizzando la vita di tanta gente. La Chiesa si è trovata ad affrontare questi cambiamenti accompagnando la gente a trovare la propria identità in una società “liquida”.


E dal punto di vista ecclesiale, quale lavoro è stato fatto e con quali risultati?
Imperatori - Le sfide di questi vent'anni sono state molteplici per la Chiesa. A un primo periodo caratterizzato dall'emergenza sociale, protrattosi praticamente fino all'inizio del terzo millennio, dove l'azione più direttamente caritativa ed edilizia ha avuto spesso il primo posto, è succeduto un periodo di maggiore stabilità che ha permesso di inquadrare anche giuridicamente, a partire dall'accordo quadro tra Repubblica d'Albania e Santa Sede del 2002, un'azione pastorale ed educativa più incisiva e capillare da parte della Chiesa. Questa di fatto è stata chiamata a introdurre il Concilio Vaticano II in una comunità ecclesiale rimasta forzatamente isolata per decenni dalla Catholica, ma che ha saputo anche dare eroica testimonianza di fede. E tutto ciò tenendo conto del carattere tradizionalmente multireligioso della società albanese.


I gesuiti sono in Albania più o meno dallo stesso periodo: quali sono gli obiettivi pastorali, educativi e sociali che sono stati raggiunti dalla Compagnia in questi anni e quali invece le difficoltà e le sfide aperte?
Imperatori - I gesuiti sono tornati subito dopo la caduta del regime, con il mandato papale di riattivare la presenza a Scutari (Seminario e Collegio Saveriano) e a Tirana (pastorale universitaria). A Scutari si è consolidato il Seminario, che accoglie candidati provenienti anche dal Kosovo e dal Montenegro e la cui responsabilità educativa è passata l'anno scorso direttamente alla Conferenza episcopale albanese, l'Istituto filosofico-teologico annesso, tutt'ora affidato alla Compagnia e che è frequentato anche da religiosi e religiose, e il Collegio Pjeter Meshkalla (ex Saveriano), con un nuovo edificio in grado di accogliere fino a 600 alunni. A Tirana si è sviluppata una parrocchia cittadina molto estesa, con attività sociali soprattutto nella periferia della capitale. La sfida principale è oggi rappresentata dai troppi fronti aperti in rapporto al numero dei gesuiti in grado di portarli avanti con una ragionevole speranza di continuità e dalla conseguente necessità di dotarsi di un miglior coordinamento apostolico tra Scutari e Tirana.

Bisha - I gesuiti si sono messi a servizio della Chiesa locale nelle rispettive sedi di Scutari e Tirana. Si è lavorato molto sull’aspetto della formazione intellettuale senza tralasciare l’impegno di accompagnamento delle persone. Un grande aiuto è stato anche l’impegno sociale di assistenza e di aiuto diretto alle famiglie più bisognose, aiutandole nell'integrazione in città. Rimane una grande sfida accompagnare la società che sta cambiando velocemente. Formare l’uomo contemporaneo desideroso di ottenere tutto e subito nello stesso momento. 


La storia dei gesuiti in Albania è anche una storia di martirio. Oggi le persecuzioni e l'ateismo di Stato sono un ricordo lontano: tuttavia resta qualcosa di quel periodo buio in cui si è cercato di estirpare la religiosità dal cuore della popolazione? Esistono ancora forme, magari più sottili, di persecuzione o comunque di rifiuto della fede?
Imperatori - L'ormai prossima proclamazione ufficiale di 40 di questi martiri, tra i quali i padri gesuiti Giovanni Fausti e Daniel Dajani ed il fratel Pantalja, cugino di madre Teresa, sarà senza dubbio un'occasione provvidenziale per far memoria della loro testimonianza, il cui ricordo è ancora vivo nelle generazioni più anziane, ma che rischia seriamente di venir dimenticata dalle nuove. Direi che il punto più delicato non è tanto il rifiuto delle espressioni più direttamente religiose della fede, quanto forme più discrete di discriminazione sociale, così come il rifiuto di alcune conseguenze pratiche della fede e il rischio di una sua strumentalizzazione a fini politici.

Bisha - Rimane sempre importante ricordare alle persone il luogo delle loro radici, è per questo che la testimonianza dei martiri gesuiti nel tempo del regime è un esempio importante di pazienza, di costanza nell’attesa di tempi migliori, rimettendo tutto nelle mai di Dio. La gente ricorda con molto affetto ciò che hanno vissuto i loro maestri, si vive la testimonianza di tante persone di buona volontà che hanno sognato un cambiamento, che aspiravano a una vita migliore fatta di valori cristiani e umani. 


Dopo la famosa visita a Lampedusa, papa Francesco sceglie ancora una volta quella che potremmo definire una periferia d'Europa. Per gli albanesi l'Europa continua a essere un obiettivo a cui puntare o c'è disillusione?
Imperatori - Dal punto di vista economico la crisi si fa certamente sentire, al punto che vi sono albanesi che preferiscono tornare in patria, dove almeno casa e vitto, pur se modesti, sono in generale assicurati. Direi che in ogni caso l'orizzonte europeo, che appartiene a una parte affatto secondaria della complessa identità albanese, continua a rimanere un punto di riferimento per la maggioranza degli albanesi, senza però più quella mitizzazione che ha caratterizzato i primi anni post-comunisti. Anche perché l'unica alternativa sarebbe a questo punto un nuovo isolamento autarchico che tutti sanno non solo impossibile, ma neanche auspicabile.

Bisha - In questo momento non siamo più nella situazione dei primi anni dopo la caduta del regime, in cui si cercava a tutti costi di emigrare. Possiamo dire che si è trovata la stabilità. Nonostante ciò l’Europa rimane un punto di riferimento. Siamo in ricerca di una vita migliore che è fatta di tanti elementi. Questi movimenti non portano sempre frutto, spostarsi da un luogo ad altro si accompagna sempre al rischio di perdere i propri valori lasciando spazio ad altri che in primo momento sembrano attraenti, ma col passare del tempo deludono. 


Che cosa si aspettano i fedeli cattolici e in generale i cittadini albanesi dalla visita del Papa? Ci sono temi "sensibili" che pensa verranno toccati?
Imperatori - Per molti cattolici si tratta comunque di un momento di grazia, che li onora, anche se non va taciuto il fatto che al nord molti avrebbero gradito un passaggio del Papa, anche perché lì hanno per lo più vissuto e sono morti i martiri. Per quanto riguarda i cittadini più in generale, per una parte di essi penso che questa visita venga collegata con la rinnovata importanza geopolitica che l'Albania sta acquistando alla luce della crisi ucraina (l'influsso della Russia di Putin arriva economicamente fino al Montenegro) e di quella del Medio Oriente (ruolo cerniera della Turchia). Per quanto riguarda i temi penso che quello del rapporto con l'Islam sarà senz'altro toccato. Forse anche quello dell'unità interna della Chiesa, affatto scontata. 

Bisha - La visita del Papa è vissuta da tutti gli albanesi con grandi aspettative, qualsiasi sia il loro credo. E lo stesso da parte delle istituzioni che si impegnano a collaborare con la Chiesa per una migliore accoglienza. Anche se il santo Padre viene in Albania solo per un giorno ciò è sufficiente per il popolo: il Santo Padre volge un'altra volta lo sguardo e tocca con mano la terra albanese. Per gli albanesi il Papa è il vicario di Cristo in Terra che viene a visitare il suo popolo. La sua visita risanerà le ferite e aprirà lo sguardo ad una Chiesa semplice che vuole crescere, riempirà di fiducia e speranza la gente che deve sopportare il giogo della vita quotidiana in una società che cambia rapidamente.


L'Albania è anche il Paese più musulmano d'Europa (se si esclude la Turchia): quali sono i significati della visita dal punto di vista del dialogo interreligioso, anche considerano il momento così drammatico a livello mondiale relativamente alla situazione dei cristiani in molti Paesi islamici?
Imperatori - Proprio qui può venir colta l'importanza del viaggio del Papa a Tirana, dato il tradizionale pluralismo interreligioso riconosciuto anche dal punto di vista legislativo da uno Stato che fin dal 1912 si è malgrado tutto voluto laico. Uno sviluppo favorito anche dalla presenza, accanto ad un islam sunnita di tradizione turca, anche di un islam di ispirazione sufi come sono i bektashiani, essi stessi originari dalla Turchia. Sul prossimo numero di Civiltà Cattolica uscirà un mio articolo su questo. La relativa solidità dell'esperienza albanese, che dopo la caduta del comunismo ha permesso di circoscrivere l'influsso dell'islam saudita e wahabita, così si spera possa isolare gli elementi fondamentalisti per ora ancora molto minoritari in Albania, più pericolosamente diffusi invece in Kosovo, il cui islam non ha invece potuto beneficiare dell'esperienza dello Stato albanese. In questo contesto si può anche far memoria del fatto che il padre Fausti ha esplicitamente vissuto il suo martirio in prospettiva islamo-cristiana, come attestano i suoi diari.
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